di Olivier Clément
Oggi, nella società secolarizzata, dove la morte è spesso occultata, dove le poche figure di santità che si conoscono sono deformate dai mass media, questa festa (la festa di Ognissanti) viene dimenticata, soprattutto dalle giovani generazioni oppure il giorno dei morti assorbe la festa di tutti i santi fino a cancellarla. Ci si reca al cimitero, si puliscono le tombe, si depone su di esse qualche crisantemo. La maggior parte delle persone non prega, non sa più pregare; tuttavia si fa silenzio, vi è un raccoglimento nel quale il limite tra la morte e la vita sembra a un tratto avvolto nella nebbia, come accadeva agli antichi celti. Noi che cerchiamo di essere cristiani, dovremmo restituire la pienezza del suo significato alla festa di Tutti i santi, perché essa abbracci, fino ad accenderla con tutto il suo calore, la memoria dei defunti.
Gesù ha detto: “Io sono la resurrezione e la vita”: verso di lui aprono la via i santi, loro che, consapevolmente o inconsapevolmente, si sono identificati quaggiù con l’unico vivente. Consapevolmente, come Paolo che diceva: “non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (gallati 2,20). Oppure a loro insaputa come tutti coloro che hanno offerto cibo, vestiti, riparo, amicizia ai più piccoli, e in questo modo hanno offerto a Cristo e in Cristo tutte quelle cose.
Vi sono molti più santi di quanti abitualmente noi siamo inclini a immaginare.
È vero, certi sono riconosciuti tali, si sa -ed è per questo che ci si affida alla loro intercessione- che in qualche modo essi fanno circolare l’amore nel corpo di Cristo, e indubbiamente nel mondo intero, divenuto misteriosamente eucaristia. A volte però mentre preghiamo per qualcuno che ci ha appena lasciato, ci capita di chiedere anche a lui o a lei di pregare per noi.
La santità e anche nella comunione: “bisogna darsi una mano”, diceva Péguy; ancora una volta, è la visione di largo respiro della Chiesa antica, quella di una “chiesa dei santi” che torna ad emergere. Sì, la santità, attestata pubblicamente, di un individuo straordinario sulla cui tomba si sono verificati miracoli, mi pare ci interessi forse meno rispetto alla comunione dei santi, una comunione aperta che santifica l’umanità e il cosmo intero.
Ci sono molti santi sconosciuti, a volte sconvenienti da citare, la cui bontà disinteressata, la cui forza calma, la cui presenza gioiosa e rassicurante, la cui umile capacità non solo di servire ma anche di creare, ne hanno fatto, oso affermare, dei rammendatore dell’esistenza universale, incessantemente lacerata dalle potenze perverse del nulla .
Si, bisognerà che la Chiesa si decida prima o poi, non a canonizzare, bensì ad aprire gli occhi e a fare aprire gli occhi sulla santità vitale, creatrice, che fa breccia attraverso le tenebre, degli artefici di giustizia, di pace, di bellezza: tutti gli estremamente ordinari cavalieri della fede e tutti gli eroi della grandezza umana ,come un Rembrandt, un Dostoevskij, o come Simone Weil, il la quale pensava che la più grande grazia fosse di sapere che gli altri esistono.
La festa di Tutti i santi ci apre gli occhi sulla santità nascosta in ogni persona o addirittura sulla santità della terra (per questo amiamo il cantico delle creature di Francesco d’Assisi).
La festa di Tutti i santi, precedendo, illuminando la memoria dei defunti, ci ricorda che Cristo continua incessantemente a vincere la morte e l’inferno. Un monaco dell’Athos diceva allo starec Silvano che finché un’anima dimorerà all’inferno chiusa tra le mura del proprio rifiuto, Cristo sarà con lei negli abissi della morte, e con lui vi saranno tutti i redenti, a pregare che anch’essa si apra all’universale, all’eterna festa di “Tutti” I santi.
Tratto da “LE FESTE CRISTIANE di Olivier Clément Ed. Qiqajon