dalla prima gagina del settimanale diocesano "La Cittadella" di domenica 5 maggio 2019 -  l'editoriale

DI RENATO P AVESI

Le elezioni per il Parlamento europeo del 26 maggio, questa volta, sono un referendum pro o contro l’Unione Europea. Ho ascoltato un bel dibattito, al collegio “Leone XIII”, a Milano, tra Mario Monti, europeista, e Claudio Borghi, antieuropeista. La discussione ha riguardato soprattutto i temi economici di cui non so dire. Però mi sono chiesto: perché io sono favorevole all’Europa e a una maggiore integrazione politica, fiscale e sociale dell’Europa? Accetterò persino che sia la Germania a guidare un processo accelerato di unificazione. Accetterò che si vada avanti con chi ci sta. Perché penso così e altri no? Perché sono più riflessivo? No, voto a favore di un’Europa con più poteri, perché ho paura.

Dopo che da giovane mi sentivo dalla parte di chi allora criticava il nostro eurocentrismo, adesso ho paura che finisca l’Europa. In fondo, è vero, non è che un pezzo di Asia che si è guadagnato i galloni di continente a forza di spallate. Fin verso il Mille ci invadevano tutti: slavi, unni, tartari, vichinghi, arabi. Poi abbiamo preso coraggio e siamo andati a combattere in Palestina: abbiamo fatto le crociate. Era la prima volta che uscivamo dall’Europa. Abbiamo fatto strada a fatica.

A lungo, bizantini, arabi, cinesi e persino i turchi ci guardavano dall’alto in basso. Poi, non si sa bene come e perché, in Europa c’è stata la rivoluzione scientifica, tecnologica, industriale, lo scontro tra papato e impero, le guerre di religione. Dentro tutto questo faticosamente nascono la libertà di coscienza, la distinzione di religione e politica, la dignità dell’individuo persona e i diritti dell’uomo: politici, civili e sociali. Mi fa paura che tutto questo possa finire.

Anni fa pensavamo che ciò si sarebbe diffuso in tutto il mondo; erano i tempi in cui l’Occidente, cioè America del Nord ed Europa, controllavano gran parte del mondo. Adesso anche in Europa, la crisi economica strisciante, la disoccupazione o i bassi salari, le disuguaglianze crescenti possono portare a pensare: ma i sistemi liberali, quelli dei diritti, sono i migliori?

I diritti costano; la sanità per tutti, le ferie pagate, la maternità a casa, l’aiuto all’handicap, le pensioni minime: ce le potremo permettere in futuro? Che ne sarà, poi, dei diritti civili e politici? Ce la potranno fare i piccoli Stati europei a reggere la maggior forza dei nuovi imperi: Stati Uniti, Cina, Russia? Riusciremo a garantirci una nicchia, un’isola felice dove fioriscano i diritti, persino quelli degli animali? Sarà possibile tutelare il lavoratore, sia pure imperfettamente come si è fatto finora?

Ho paura di no. Ascoltando, dicevo all’inizio, Monti difendere l’Europa e Borghi attaccarla, mi sono detto: quelli che parlano come Borghi mi fanno paura, non mi fido, e mi fido, invece, della mia paura, tanto che posso persino votare Juncker, ex primo ministro del Lussemburgo, un paradiso fiscale. Non si vota di solito il migliore, ma il meno peggio