Comunità San Barnaba/Ognissanti          Percorso sul ministero della coppia 1          

don Riccardo

rachele5Il racconto che segue circa il trasferimento di Giacobbe da Labano, dal capitolo 29 della Genesi, è molto bello e simile alle vicende di coppia precedenti (Abramo e Sara, Isacco e Rebecca. “Giacobbe si mise in cammino e andò nel paese degli orientali. Vide nella campagna un pozzo” (29,1-2a). Anche in questo caso l'incontro d'amore avviene al pozzo, analogamente all'incontro fra il servo di Abramo e Rebecca, come pure fra Mosè e Zippora al pozzo di Madian, e fra Gesù e la samaritana al pozzo di Sichar; ci sono dei riferimenti importanti, il pozzo infatti è l’ambiente amoroso per eccellenza essendo l’unico punto dove vanno le ragazze fuori dal chiuso della città, è cioè l'ambiente dove si possono incontrare le ragazze, da sole. Riprendiamo il racconto. “Vide nella campagna un pozzo e tre greggi di piccolo bestiame, accovacciati vicino, perché a quel pozzo si abbeveravano i greggi, ma la pietra sulla bocca del pozzo era grande. Quando tutti i greggi si erano radunati là, i pastori rotolavano la pietra dalla bocca del pozzo e abbeveravano il bestiame; poi rimettevano la pietra al posto sulla bocca del pozzo” (Ibid. 2-3). Il motivo di questa procedura deriva dal fatto che il pozzo era da usare in società, per cui la pietra che lo chiudeva era molto grossa cosicché nessuno potesse usare il pozzo da solo; quindi, i soci dovevano essere tutti presenti così che, una volta mossa la pietra, potessero prendere l'acqua in parti giuste.

Giacobbe disse loro: «Fratelli miei, di dove siete?». Risposero: «Siamo di Charran». Disse loro: «Conoscete Labano, figlio di Nacor?». Risposero: «Lo conosciamo». Disse loro: «Sta bene? ». Risposero: «Sì, ecco la figlia Rachele che viene con il gregge». Riprese: «Eccoci ancora in pieno giorno: non è tempo di radunare il bestiame. Date da bere al bestiame e andate a pascolare!». Risposero: «Non possiamo, finché non siano radunati tutti i greggi e si rotoli la pietra della bocca del pozzo; allora faremo bere il gregge». Egli stava ancora parlando con loro, quando arrivò Rachele con il bestiame del padre, perché era una pastorella. Quando Giacobbe vide Rachele, (...) fattosi avanti, rotolò la pietra dalla bocca del pozzo e fece bere le pecore di Labano, fratello di sua madre» (29,4-10).

È un racconto ironico, ci vogliono infatti tutti i pastori per muovere quella pietra, ma Giacobbe da solo, quando vede Rachele arrivare, diventa un superuomo: la ragazza gli piace talmente che, per fare bella figura, si sottopone ad uno sforzo immane e sposta da solo la pietra senza l’aiuto degli altri pastori, si fa vedere, si mette in mostra e conquista la ragazza.

Poi Giacobbe baciò Rachele” (29,11a), cosa inusuale a quel tempo: uno straniero, che lei non conosce, le si avvicina e in pubblico la bacia! Ma subito dopo, lo straniero le spiega che è suo cugino: sono infatti figli rispettivamente di Rebecca e di Labano, fratello e sorella. Secondo quell'ambiente ed i loro costumi, erano normali i matrimoni all’interno della parentela, proprio per mantenere le consuetudini del clan familiare.

Rachele porta in casa il giovane straniero, così bello ed energico, e lo presenta al padre Labano; Giacobbe, senza porre tempo in mezzo, la chiede immediatamente in sposa e Labano la concede ben volentieri, ma ad una ben precisa condizione di scambio: che Giacobbe rimanga sette anni a prestare lavoro gratuitamente a Labano. Quest’ultimo si conferma un imbroglione ed approfitta della situazione giocando anche sui sentimenti. “Così Giacobbe servì sette anni per Rachele: gli sembrarono pochi giomi tanto era il suo amore per lei” (29,20). Questa frase è una bellissima dichiarazione di amore: ha fatto l’impossibile lavorando gratuitamente sette anni per averla in sposa, ma gli parvero pochi giorni tanto la amava.

Finalmente alla scadenza dei sette anni si può arrivare al matrimonio, che viene celebrato con grande festeggiamento e molti invitati secondo i rituali orientali, mentre la sposa giunge velata all’appuntamento; sempre velata la sposa viene condotta nel talamo, dove si reca anche Giacobbe. Al mattino però Giacobbe si accorge che la donna che ha sposato non è Rachele, ma Lia; quell’imbroglione di Labano non gli ha dato Rachele, ma la sorella maggiore.

In un certo senso è stato reso pane per focaccia: anche Giacobbe si era spacciato per il fratello Esaù imbrogliando il padre nel buio della sua cecità; adesso, al buio della tenda, Giacobbe non si è accorto che la donna con lui non era Rachele, ma la sorella. Ad uno scambio di fratelli è così corrisposto uno scambio di sorelle e l’imbroglione Giacobbe è stato a sua volta imbrogliato. Naturalmente, Giacobbe al mattino protesta, ma ormai il guaio è fatto e non è possibile tornare indietro: Lia è moglie di Giacobbe.

Come c'è da aspettarsi, Labano, dopo aver fatto presente che non poteva dare in sposa la figlia minore senza che la maggiore fosse sposata, offre di dare in sposa anche Rachele – la poligamia, in uso al tempo, permetteva questo -, ma ancora alla condizione che Giacobbe lavori altri sette anni per lui.

Giacobbe accetta e sposa anche Rachele, che questa volta gli viene accordata in anticipo, e lavora gratuitamente altri sette anni per Labano.

Naturalmente cominciano i problemi perché le due sorelle, mogli dello stesso uomo, entrano in conflitto fra loro: Rachele è la bella, è l’amata, mentre Lia è sopportata.

Vedendo il Signore che Rachele era amata e Lia disprezzata, rende quest’ultima feconda, mentre Rachele risulta sterile; si dimostra quindi, ancora una volta, che il Signore sta dalla parte del povero, dalla parte del disprezzato. Nascono così man mano i primi quattro figli di Lia, altri due seguiranno.

Al capitolo 30 della Genesi, tra l”altro anche divertente, viene raccontata la situazione di liti nell’harem: le due donne che si contendono il marito e litigano fra loro, la soddisfazione di quella che riesce ad avere figli, la disperazione di quella che non ne ha. Ad un certo punto Rachele esce con una frase tremenda, dicendo al Signore: «Dammi dei figli, altrimenti muoio», frase tremenda perché Rachele morirà di parto. Si assiste qui al dramma dell’ambiguità: si sente morire dal dispiacere se non avrà figli, chiede disperatamente di averne per non morire e invece morirà proprio avendo un figlio: sembra che il narratore voglia dire che il Signore non le dava figli per non farla morire, li ha voluti ed ha subito le conseguenze.

I “figli di Israele” sono migliori degli altri popoli”

Il racconto prosegue narrando come Giacobbe, imbrogliando Labano, riesce ad arricchirsi di greggi, di schiavi e di schiave, prima di intraprendere il viaggio di ritorno verso il padre Isacco. Si può notare quindi quanti intrecci ci sono dietro le storie degli allevatori di mucche e degli allevatori di pecore: Lia e Rachele, le vicende familiari, il racconto gustoso del matrimonio con l’imbroglio, l’imbroglio di Giacobbe a Labano, ecc, ecc.

Tutto questo, per dimostrare che Giacobbe, il “nonno” del popolo di Israele, era più in gamba di tutti e, dopo avere lavorato per tanti anni per Labano, è riuscito a tornare a casa con greggi numerosi e molte altre ricchezze. Analogamente, le “nonne” del popolo di Israele erano le donne più belle. Il popolo di Israele dei tempi del narratore somiglia ovviamente ai propri “nonni” ed alle proprie “nonne”!

RIFLESSIONI PER LA VITA

- la ricchezza dell’innamoramento (e del fondamento della coppia)

- la giustizia della provvidenza (chi la fa, l’aspetti… oppure pan per focaccia)

- la forza della promessa (la fedeltà di Dio e dell’uomo)

- il simbolo del pozzo e dell’acqua come vita di Dio (battesimo…)

- eros/thanatos (amore/morte)