Tratto dall'articolo: SEI VISIONI DELLA NOTTE SANTA  di Maria Gloria Riva alla pagina 39 di LUOGHI DELL'INFINITO  - dicembre 2018

asino bue e ariwete

E così siamo presi come tra due fuochi nella stalla di Betlemme dipinta da Federico Barocci nel 1597: gli occhi sgranati del bue e dell’asino e quelli sorpresi dei due pastori che battono all’uscio.

Nessuno ci aveva condotto così dentro il mistero del Natale. E ci sentiamo quasi in imbarazzo non sapendo bene dove collocarci.

A ben guardare questa natività è tutta in movimento: la Vergine spalanca le braccia quasi per segnare i confini eterni del mistero; Gesù sembra essersi liberato in quel momento dal tepore della coperta e volge gli occhi alla madre; San Giuseppe corre alla porta ad accogliere i pastori e questi ultimi già si piegano in adorazione prima ancora di essere entrati.

Questa natività mi pare uno spaccato della chiesa attuale: non sappiamo bene dove collocarci all’interno delle Verità di sempre, perché tutto è movimento. Nella capanna del Barocci dominano i toni del marrone, i toni della terra con i suoi neri e le schiarite improvvise della terra di Siena o della cenere. È il trionfo dell’umano.

E non siamo noi immersi nel trionfo dell’umano? Dove tutto deve essere livellato all’interno di un pensiero unico?

Certo la capanna del Barocci è piena di attesa, e lo dicono gli oggetti sparsi qua e là come per caso, ma che obbediscono invece a un disegno sapiente; lo dicono i fili di paglia dorata che incorniciano la mangiatoia; lo dice il berretto rosso del primo pastore. Lo dice la mano decisa di Giuseppe che apre l’uscio e permette alla luce che regna nella capanna di ferire l’oscurità della notte.

La luce, nella capanna, è tutta nella veste della madonna e nei panni che coprono Gesù. E che dignitosa beltà reca l’abito di Maria! Non sembra davvero la fanciulla di Nazareth che ha appena dato alla luce un bimbo in un luogo di fortuna. Sembra una regina, una sposa pronta per le nozze.

Ma da dove viene tutta quella luce in un luogo così oscuro, dove non si scorge alcuna fonte luminosa?
Federico Barocci lo rivela bagnando di luce gli oggetti più semplici abbandonati nella stalla.

Che sorprendente verità: le cose più grandi si rivelano ai nostri occhi mediante strumenti umili. Per vederli ci è necessario lo sguardo. Lo sguardo e l’abbandono. Cose cui ci educano, dopo Maria, gli animali della stalla.

È il polo opposto dei pastori. Non mancano mai nel presepe e, se appartengono alla narrativa più tradizionale, essi sono nondimeno una citazione del proto Isaia: “Il bue conosce il proprietario e l’asino le greppia del padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende” (Isaia 1,3).

Essi sono dentro il mistero più di noi, bagnati dalla luce e i loro occhi scintillano.
L’asino, portando la soma, é simbolo di chi porta il peso dei suoi peccati e attende di essere liberato. Per questo significava i pagani quali, non avendo la legge, non avevano neppure il sacrificio e il perdono.
Il bue invece sta sotto il giogo, collaborando al lavoro del padrone, perciò è segno del popolo di Israele, il quale sta sotto il gioco della legge perché collabora con Dio alla salvezza del mondo.
I due animali sono allora simbolo dell’umanità che già vede. Sono i lavoratori dell’umile vigna del Signore, avrebbe detto Benedetto XVI. Sono i consacrati e le consacrate, sono i ministri di Dio degni del nome che portano.
Come l’asino essi sono consapevoli di aver sempre necessità della misericordia di Dio, ma nello stesso tempo, come il bue accettano sopra di loro il giogo del Signore.
 
E qui Barocci scrive la sua sorpresa!
Non vediamo forse quell’anello scintillante d’oro, come la paglia, sotto l’orecchio del bue? E non è quello il luogo dove si ci si aggancia il giogo?
Ecco: il giogo è stato tolto, giace abbandonato proprio in primo piano, poggiato la mangiatoia. Il gioco della legge è stato vinto. Moralismo e legalismo abbandonati.
Il nuovo statuto del Signore è dettato dall’amore così potentemente significato del rosa dell’abito di Maria: il rosso dell’amore è trasfigurato!

Ecco l’unica cosa fema dentro a tanto movimento.

Amore è il nome segreto di questo bambino, un Amore che è roccia eterna.

Per questo la Madonna si ginocchia sopra una roccia, per questo la cesta del pane e il cappello di Giuseppe sostano sicuri sopra alla roccia.

Questo Amore è sicuro, certo come la pietra d’angolo della stalla, l’identità di questo Amore la dichiara il terzo umile animale che fa capolino nella grotta: è l’ariete che giungendo dalla notte del Natale già annuncia la Pasqua.

Tratto dall'articolo: SEI VISIONI DELLA NOTTE SANTA  di Maria Gloria Riva alla pagina 39 di LUOGHI DELL'INFINITO  - dicembre 2018