L’ideale più forte di Francesco, il suo desiderio maggiore, il suo proposito supremo, era quello di seguire in tutto e per tutto il santo Vangelo, e di seguire la dottrina e le orme di nostro Signore Gesù Cristo perfettamente, con ogni attenzione, con ogni cura, con tutto il fervore della mente e del cuore. Evocava con meditazione assidua le parole divine e con profonda contemplazione ripercorreva l’operato di Cristo. Soprattutto l’umiltà con cui si era incarnato e l’amore con cui aveva affrontato la passione occupavano a tal punto la memoria di Francesco che quasi non voleva meditare su nient’altro. È perciò da mettere per iscritto e da conservare devotamente il ricordo di quello che Francesco fece, tra anni prima della sua morte, nel castello di Greccio, il giorno della nascita di nostro Signore.
C’era in quella contrada un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita anche migliore, che Francesco amava di grandissimo affetto perché, pur essendo nobile e molto onorato nella sua terra, disprezzata del tutto la nobiltà della carne, si era messo a cercare la nobiltà dello spirito. Circa due settimane prima della festa della Natività, il beato Francesco lo fece chiamare a sé come faceva spesso, e gli disse: «Se vuoi che celebriamo a Greccio il prossimo giorno di festa, sbrigati a precedermi e prepara diligentemente quanto ti dico: voglio infatti evocare il ricordo di quel Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia quando fu messo sul fieno tra il bue e l’asino». Appena l’ebbe ascoltato, il fedele e pio amico corse via a preparare sollecitamente nel luogo suddetto tutto quello che il santo aveva domandato.
Venne il giorno della letizia, il tempo dell’esultanza! Sono qui convocati molti frati dai molti «luoghi» in cui abitano; gli uomini e le donne della regione preparano pieni di contentezza, ciascuno secondo le proprie possibilità, ceri e fiaccole per far risplendere quella notte destinata a illuminare con una stella scintillante tutti i giorni e gli anni a venire. Venne alla fine Francesco, e trovando che tutto era stato preparato, fu raggiante di gioia. Si accomoda la greppia, portano il fieno, vengono condotti il bue e l’asino. La semplicità è onorata, la povertà è esaltata. Greccio è come una nuova Betlemme. La notte è chiara come giorno pieno, e dolce e piacevole sia per gli uomini che per gli animali!
Accorre la gente e davanti al rinnovarsi del rito si allieta di una gioia nuova. La selva risuona di voci e le rupi rieccheggiano di cori festosi. I frati cantano sciogliendo le debite lodi al Signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia.
Il santo di Dio sta di fronte alla mangiatoia, lo spirito vibrante di sospiri, di compassione e di grande gioia. Poi il sacerdote celebra solennemente la messa sopra la mangiatoia ed egli stesso assapora una consolazione nuova.
Francesco si è rivestito dei parametri diaconali, perché era diacono, e canta con voce sonora il santo Vangelo: quella voce veemente, dolce, chiara e sonora invita tutti alle più grandi gioie. Poi parla alla gente circostante e stilla parole dolcissime sulla nascita del Re povero e la piccola città di Betlemme. Spesso, quando voleva chiamare Cristo «Gesù», tutto infervorato nello slancio d’amore lo chiamava «il Bambinello di Betlemme». Pronunciando quel nome «Betlemme» o «Gesù», passava la lingua sulle labbra, quasi ad assaporare tutta la dolcezza di quelle parole e cibarsene .
In tale circostanza si moltiplicano a Greccio i doni dell’Onnipotente, e uno dei presenti, uomo assai virtuoso, ha una visione. Vedeva giacere esanime nella mangiatoia un piccolino; a lui si avvicinava il santo di Dio e lo svegliava come da un sonno profondo. Né questa visione avveniva senza un motivo, per il fatto che il Bambino Gesù era stato del tutto dimenticato nei cuori di molti, ma in loro, per grazia divina, attraverso il servo Francesco quel Bambino era risuscitato, imprimendosi profondamente nella memoria degli astanti. Terminata la solenne veglia, ciascuno tornò a casa sua pieno di gioia. Il fieno che fu collocato nella mangiatoia fu conservato «affinché Jahvé, così grande è la sua misericordia, guarisca il bestiame (salmo 35,8) e altri animali». E davvero è avvenuto che, in quella regione, molti animali, colpiti da diverse malattie, mangiando di quel fieno furono guariti. Anzi, anche le donne che durante un parto faticoso e doloroso si erano poste addosso un poco di quel fieno, partorirono felicemente. Alla stessa maniera numerosissimi uomini e donne, presi dai più diversi malanni, vennero lì e ritrovarono la desiderata salute. Oggi il luogo della mangiatoia è stato consacrato come tempio di Dio; sopra la greppia è stato costruito un altare in onore di san Francesco e dedicata la chiesa; là dove un tempo gli animali hanno mangiato il fieno, ora gli uomini possono mangiare, come nutrimento dell’anima e santificazione del corpo, la carne dell’Agnello immacolato e incontaminato, Gesù Cristo nostro Signore, che con amore infinito ha donato se stesso per noi. Egli vive con il Padre e lo Spirito Santo eternamente glorificato nei secoli dei secoli. Amen, Alleluia, Alleluia. Qui finisce la prima parte della vita e degli atti del beato Francesco.