Omelia di mons. Regis sul testo di Matteo, 14, 22-36 - (stesso vangelo di oggi domenica 9 agosto 2010)

“Uomo di poca fede”

            Il brano di Matteo è il racconto di un episodio non proprio brillante del discepolato di Pietro, che infatti si merita dal Maestro il rimprovero di “uomo di poca fede”.

            Racconto che ci viene riproposto come invito a interrogarci sulla qualità della nostra fede. Poiché si fa presto a dire: “Io credo - io sono credente”, ma spesso si trascura di confrontarsi con un’alternativa che è interna alla fede stessa: il nostro credere può essere facile, superficiale, emotivo, capace anche di qualche grande slancio, come quello di Pietro che si getta dalla barca per andare incontro al Signore, ma poi venir meno di fronte ai venti contrari, alle tante difficoltà della vita; oppure può essere una fede vera, profonda, che proprio di fronte alle avversità si radica e si rafforza nel suo fondamento, ultimo e primo: il Cristo Signore.

            Questo è un primo messaggio che la pagina ci trasmette, ma ce n’è un altro quasi nascosto tra le righe, là dove si dice che i discepoli vedendo Gesù venire sulle acque, credettero di vedere un fantasma. Su questo è il caso di fermarsi a riflettere un momento.

“Credevano di vedere un fantasma”

            Vedere un fantasma? Noi uomini e donne del XX e del XXI secolo siamo convinti di aver superato l’età infantile della conoscenza, e di saper vedere le cose come realmente sono, di saperle chiamare con il loro nome. Ma non è così. Basta un minimo di riflessione per rendersi conto che anche oggi noi siamo alle prese con diversi generi di fantasmi.

            Ne ricordo alcuni.

            Ci sono i fantasmi dell’aggressione, che oggi per molti si materializzano in quei barconi che arrivano a Lampedusa, stracarichi di profughi e disperati, in fuga dalla fame, dalla mancanza di libertà, dall’assenza di prospettive di vita. Per molti, non per tutti, costoro sono degli aggressori, vengono a rubarci il pane, il lavoro, la sicurezza (veramente, verrebbe da dire, la sicurezza ce l’avevano già portata via alcuni nostri connazionali - ma questo è un altro discorso).

            Sappiamo tutti che la Chiesa non condivide questa lettura della immigrazione. E continua a predicare il dovere, umano cristiano e politico, dell’accoglienza. Non solo predica, la Chiesa, ma è in Italia l’agenzia che fa di più in tutto l’ambito dell’accoglienza; una parte consistente di questi profughi hanno trovato ospitalità nelle strutture della Caritas, e grazie alla Caritas, non pochi di loro hanno trovato anche un inserimento sociale decoroso.

            Aggiungo un dato ancora poco conosciuto: l’arcivescovo di Milano, Angelo Scola, che è persona di non comune attenzione ai grandi cambiamenti in atto nel mondo, è convinto - e lo ha dichiarato più volte - che accoglienza e integrazione sono soltanto un primo passo, poiché stiamo andando verso un vero e proprio “meticciato”, un rimescolamento a tutti i livelli, compreso quello genetico, di persone e di popoli.

            Rimescolamento nel quale i credenti vedono non una catastrofe (come Oriana Fallaci), ma un “segno dei tempi”, una fase nuova nel compiersi del disegno di Dio, per una vera unità di tutto il genere umano. In breve, dietro il fantasma dell’aggressione c’è il Signore che viene con un disegno di promozione umana e di salvezza, che è per tutti.

I nostri fantasmi interiori

            E ci sono, più intimi, i fantasmi del rimpianto. Tutti noi, specialmente i non più giovani, negli anni trascorsi abbiamo perso delle persone care, a cui ci legavano vincoli di affetto, di sangue, di fiducia, i genitori in particolare, moglie, marito, fratelli e sorelle maggiori. E quando questo è avvenuto, ci è sembrato che un grande vuoto, incolmabile, si aprisse nella nostra vita, lasciandoci più poveri e indifesi. Ma è davvero così? Se crediamo che i nostri cari ora vivono in Dio e che Dio vive anche in noi, essi ci sono, o ci diventano, più ricchi di significato, di sostegno e di conforto, di quando erano in vita. So, da persone che conosco, che questo lo sperimentano in tante occasioni. E dunque, dietro il fantasma del rimpianto può esserci la consolazione di una presenza nuova, più intima, insieme umana e cristiana.

            Ci sono poi i fantasmi dei nostri errori. Tutti, nel corso degli anni, abbiamo commesso degli errori:

- errori di valutazione, sia accordando fiducia a persone che poi ci hanno deluso, sia negando fiducia a persone che su di essa contavano;

- errori anche di natura morale: se il grande S. Paolo doveva riconoscere: “non faccio il bene che voglio e faccio il male che non voglio”, che cosa di diverso potremmo dire noi?

Ma anche qui, non bisogna stare al gioco dei fantasmi, che in questo caso possono essere i nostri rimorsi. Piuttosto, dobbiamo ricordare, ancora con la parole dell’Apostolo: “Tutto coopera al bene di quelli che amano Dio, anche i peccati”.

Dai peccati di Pietro, di S Agostino, di Francesco d’Assisi e di innumerevoli altri, dal loro superamento nella contrizione e nella fede, sono venuti alcuni tra i più grandi testimoni della storia cristiana.

            Un ultimo e inquietante è il fantasma della nostra morte personale. Noi conosciamo la morte di altri che abbiamo visto morire, non conosciamo la nostra morte, che possiamo soltanto immaginare.

Ma, quali che siano su questo evento estremo i nostri fantasmi, la cosa importante è che sappiamo superarli nella fede, nell’abbandono a Dio nella fede. Se davvero crediamo che il Signore risorto è il nostro unico Salvatore, sapremo anche vedere, dentro e aldilà di tutti i fantasmi, la figura di Gesù che viene verso di noi nei momenti difficili della vita, e ci tende la mano, ci rassicura e ci ripete: “Uomo di poca fede, donna di poca fede, perché hai dubitato?” E i venti che sembravano travolgerci si placheranno.

Non è un racconto auto-consolatorio, è Parola del Signore.

Mons. Benito Regis  Fai della Paganella, 4 agosto 2014.