SETTIMANA DELLA CHIESA MANTOVANA

Assemblea diocesana Cattedrale, 10 settembre 2018

(miniatura da un codice manoscritto del Cantico dei cantici, anno 1000, Bamberga)

Don Stefano Savoia

“Questo fanno tutte le arti, a questo tendono: a riformare in noi la divina somiglianza che in noi è forma, in Dio è natura; alla quale quanto più ci accostiamo, tanto più sappiamo”. (Didascalion, II, 751)

Con queste parole Ugo da San Vittore (Sassonia 1090 circa – Parigi 1141), teologo e cardinale, all’inizio del XII secolo ci ricorda che il fine delle immagini sacre è quello di risvegliare in noi la memoria della relazione con Dio Creatore.

Con gli occhi del volto e con l’intelligenza della fede allora ci apprestiamo a contemplare il dittico di miniature che accompagnerà il cammino pastorale delle nostre comunità.

Prima di entrare nella lettura delle immagini sottolineiamo alcuni aspetti.

UNO

Il primo riguarda il contesto culturale/artistico in cui queste opere sono state realizzate: siamo nei decenni immediatamente precedenti o a cavallo dell’anno 1000, nel monastero benedettino di Reichenau, sul lago di Costanza, nella Bassa Germania. La grande abbazia imperiale, assieme ad altri centri benedettini come Fulda, San Gallo, Weingarten, Lindau, fu uno dei più principali luoghi di elaborazione culturale, artistica e spirituale del medioevo.

Il codice contenente le nostre miniature fu donato poco dopo il 1000 al capitolo del duomo imperiale di Bamberga. Qui vediamo ciò che resta delle strutture del monastero in cui è stata realizzata la miniatura, dopo la secolarizzazione avvenuta nel 1803.

monastero

Nel monastero era attivo un celebre scriptorium dove copisti, miniatori ed amanuensi trascrivevano e decoravano testi destinati alla comunità benedettina o su commissione, per cattedrali, capitoli, vescovi e per lo stesso imperatore. Tra le opere prodotte in questo atelier si riconosce un gruppo che presenta analogie stilistiche, soprattutto nelle figure, dotate di intenso linearismo e forte espressività.

Questo gruppo di testi, che costituiscono l’apogeo della miniatura ottoniana, viene ricondotto al monaco Liuthar, perché con questo nome si firma e si rappresenta nel frontespizio dell’Evangeliario detto appunto di Liuthario, oggi nel Tesoro del Duomo di Aquisgrana.in questo particolare

In questo particolare, nell’autoritratto di Liuthario mentre offre il suo lavoro all’Imperatore Ottone III (983-1002), riconosciamo sorprendenti analogie con le figure delle nostre miniature.

il secondo aspetto

Il secondo aspetto che vale la pena recuperare è il fatto che si tratta di un’opera complessa, formata da un testo scritto e da miniature, che va intesa nella sua completezza, e letta a più livelli. Ci sono almeno tre componenti, o stratificazioni, che corrispondono a tre livelli interpretativi.

Se sfogliamo il codice notiamo che il primo livello, il cuore del manoscritto, è il testo biblico del Cantico dei Cantici, che prosegue esattamente nel verso del foglio della seconda miniatura. Anche graficamente i versi del poema sono evidenziati dalla dimensione delle lettere.

SE SFOGLIAMO

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Se procediamo sfogliando le pagine ci accorgiamo che il testo biblico è attorniato da una serie di annotazioni in forma di glosse, scritte con caratteri di dimensione più piccola e con un inchiostro più chiaro; si tratta del secondo livello dell’opera: il commento al testo, riferibile a San Beda il Venerabile, che attraverso una concatenazione di citazioni patristiche, rilegge il contenuto del Cantico in chiave mistica, spirituale, come ricerca e unione dell’anima con Cristo.

IMMAGINE SETTIMANA PASTORALE 2018

Ora possiamo ritornare alle prime due pagine del testo e osserviamo come le immagini si possano considerare come il terzo livello d’interpretazione del testo, quello ecclesiale, tradotto visivamente nelle due miniature, come il cammino della comunità dei battezzati verso la piena comunione con Dio in Cristo. Ed è proprio in queste due immagini che risiede la straordinaria unicità di questo capolavoro: il gruppo di miniatori facenti capo a Liuthar è capace di offrirci un’evocativa commistione di sensibilità astratta, naturalismo, espressioni e gesti eloquenti, in una visione della Chiesa al tempo stesso teologica e iconica.

Già il fatto di organizzare in due icone appaiate il cammino ecclesiale verso la pienezza della comunione sottolinea la profondità della riflessione da cui scaturisce: - c’è un cammino storico, a sinistra, dal fonte battesimale alla Pasqua di Cristo che si ripresenta nell’Eucarestia settimanale, dove il corteo si snoda sulla terra,

- c’è un cammino trascendente, a destra, dall’Eucarestia alla piena incorporazione in Cristo, dove il fondo oro indica la dimensione definitiva, l’eterna e incorruttibile presenza di Dio.

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La miniatura che abbiamo contemplato lo scorso anno ci mostra la comunità dei battezzati nel suo cammino storico, nelle diverse e complementari componenti di cui è costituita: uomini, donne, ministri ordinati, monaci, vergini, popolo e aristocratici, con particolare accentuazione sui doni del battesimo, tradotti visivamente con le vesti: regalità, profezia e sacerdozio.

luso delloro

L’uso dell’oro, nella miniatura di sinistra era circoscritto alle aureole dei battezzati (e naturalmente alla croce di Cristo); nell’immagine a destra invece tutto è avvolto e immerso nello splendore aureo. Ciò che inizialmente è parziale e circoscritto alla parte più nobile della vita umana (testa, volto, spalle), diventa poi onnipervasivo.

la corrispondenza materica

La corrispondenza materica della croce di Cristo col fondo oro della seconda immagine ci aiuta a capire anche un altro aspetto. È proprio la Pasqua di Cristo, punto di arrivo della prima immagine, contemplata nella croce e accolta nell’Eucarestia, la via di accesso alla pienezza della vita divina.

È il passaggio, la porta, che immette nella Gerusalemme nuova, rappresentata come ci ricorda Apocalisse 21: “E la piazza della città è di oro puro, come cristallo trasparente. Non vidi alcun tempio in essa perchè il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio. La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’Agnello”. L’oro in lamina, per la sua lucentezza, la sua preziosità e inattaccabilità alla corrosione è il materiale che meglio simbolizza l’eternità di Dio e la sua presenza.

entriamo nei dettagli

Entriamo nei dettagli della seconda miniatura, e ritroviamo anche in questa il popolo dei battezzati in cammino. Ci sono proprio tutti, anche i fanciulli, che nella prima non erano presenti. Uomini, donne, di tutte le età.

ci sono figure

Ci sono figure femminili, che conversano, si incoraggiano, indicano la meta. Notiamo i tratti tipici delle opere attribuite a Liutha: occhi spalancati, mani esageratamente allungate.

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Rilievo è dato ad un gruppo di donne che conducono i loro figli, e ci ricordano l’indispensabile funzione della maternità, non solo biologica, ma soprattutto spirituale, come capacità di generare alla fede. Se notate i fanciulli sono legati al gruppo delle madri con il lembo del mantello, segno di una relazione non tanto fisica (come è cordone ombelicale), ma come consegna e condivisione di una identità (il mantello, che rievoca la trasmissione del ruolo profetico da Elia a Eliseo).

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Non mancano neppure i ministri ordinati, nei loro differenti gradi e uffici/ministeri; a sinistra si riconosce un vescovo, con il pallio, che ci ricorda la funzione di pastore del gregge; presbiteri, col compito di celebrare i sacramenti e annunciare la

Parola; diaconi e suddiaconi, espressione del

servizio e della sollecitudine della comunità specialmente per i poveri. Non sono disposti secondo la rigida gerarchia istituzionale del tempo, ma incamminati in gruppo, solidali, verso la meta.

anche in questa seconda

Anche in questa seconda miniatura un ruolo del tutto speciale è dato alla figura femminile più riccamente vestita, risplendente delle vesti nuziali. Riconosciamo in essa la Madre Chiesa, la sposa.

Nella prima immagine, a sinistra, aveva la duplice funzione di porgere la coppa eucaristica e indicare il Cristo in croce.

Nella seconda icona essa non ha più l’aureola, per i motivi che abbiamo già ricordato, ma ha le ali e conversa con un angelo. È la Madre Chiesa nella sua dimensione celeste: con una mano indica la meta e con l’altra copre delicatamente gli occhi di un ragazzo, all’estrema destra. Sta accompagnando i suoi figli nell’ultimo passaggio. Chiudere gli occhi è segno della consegna definitiva al Padre, è l’atto di fede senza riserve.

Se notate i volti di questo gruppo di persone, accolte nel suo grembo, sono grigi, non hanno l’incarnato roseo: sono i defunti che vengono introdotti nella comunione definitiva, incorporati pienamente in Cristo; essi sono tutti giovanissimi: sono i fanciulli di cui parla Gesù nel Vangelo: se non diventerete come bambini non entrerete nel Regno dei Cieli (Mt 18,3).

Essi divengono parte integrante del corpo glorioso di Cristo: san Paolo scrivendo ai Romani usa tre termini per indicare questa compartecipazione, questo essere membra vive di Cristo: coeredi, con-sofferenti, con-glorificati (Rm 8,17).  

Le funzioni svolte dalla Mater Ecclesia in queste miniature esprimono in modo plastico la secolare riflessione ecclesiologica che parte da Agostino e attraverso Isidoro arriva nelle scuole monastiche benedettine: Ecclèsia come ‘convocatio’, una realtà decisamente più ampia e definitiva rispetto alla Synagoga come ‘congregatio’: persone dunque che condividono una stessa vocazione, uno stesso destino, non solo uno stesso luogo.

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Nella parte superiore della miniatura sono poi raffigurate le schiere angeliche, non secondo la classica iconografia ad anelli concentrici, che si svilupperà poi nel tardo medioevo, nel rinascimento e in età barocca (come vediamo nella cupola qui in Duomo, sopra la nostra testa), ma a gruppetti di tre.

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Le schiere angeliche sono nove, secondo la classificazione che ne propone PseudoDionigi l’Aeropagita nel De coelesti hierarchia. Esternamente alla “O” centrale sono da annoverare gli Angeli, gli Arcangeli, i Principati (che hanno un compito nei confronti dell’universo), le Potestà, le Virtù e le Dominazioni (responsabili dell’ordinamento dell’universo).

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Qui vediamo quella che sembra essere la schiera degli Arcangeli, al cui centro è rappresentato Michele, riconoscibile dall’elmo militare.

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Dentro o in qualche modo in relazione col centro, ritroviamo invece la prima sfera delle gerarchie angeliche, i cui nomi indicano un rapporto con Dio: sotto, a reggere il Cristo glorificato, i Troni.

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Più esterni, di colore blu, i cherubini.

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Più all’interno, i serafini, gli spiriti brucianti di carità, che ardono dell’amore di Dio (con le ali rosse), contemplano il suo volto e servono la sua gloria.

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Eccoci finalmente al centro. Entriamo dentro una grande “O”, iniziale del primo verso del poema biblico, “Osculetur me osculo oris sui” (mi baci con il bacio della tua bocca). Lo sposo del Cantico è il Cristo glorificato, assiso sull’universo, il grande globo aureo con delle stelle stilizzate bianche. È il Cristo tutto in tutti, il punto di arrivo della creazione intera, in cui è ricapitolata ogni cosa.

Non siamo di fronte al ‘Pantocrator’ che crea con la Parola, o al Giudice universale, con la mano alzata a separare i beati dai dannati. L’eterno gesto del Cristo sposo glorificato è quello della benedizione senza fine.

la prima ora

Ritorniamo ora un istante a recuperare la visione complessiva del dittico per contemplare la vita nuova in Cristo, dal suo inizio nel fonte battesimale, al suo compimento, nell’eterna comunione in Dio, espresso nel poema del Cantico, verso la fine, con parole infiammate di amore umano:

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(Pone me ut signaculum super cor tuum) Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio; perché forte come la morte è l’amore tenace come gli inferi è la passione: e le sue vampe sono vampe di fuoco, una fiamma del Signore.

mentre chiudiamo il prezioso

 

Mentre chiudiamo il prezioso volume ci accorgiamo che le due tappe del cammino dei battezzati, quella storica, terrena e quella nascosta in Dio nello splendore eterno, non sono cronologicamente successive, una dopo l’altra, ma sono due dimensioni, una dentro l’altra, sono contemporanee, pur su piani diversi: mentre la chiesa storica accoglie il dono della vita nuova in Cristo, si va completando la sua stessa identità nella comunione eterna in Dio. Immaginiamo il libro chiuso: le due immagini sono una di fronte all’altra, si guardano, si contemplano una nell’altra, come sigillo del canto d’amore di Dio per l’umanità.