tomba dei Patriarchi a Hebron
C’è un significato profondo nel viaggio che Papa Francesco ha iniziato questa mattina in Iraq.
Sembra che man mano che la sua età avanza, questo Papa che ha scelto il nome di chi si è fatto povero tra i più poveri ed umile tra gli umili, senta sempre di più l’esigenza di unire in fratellanza chi soffre.C’è un filo rosso tra l’Amoris Laetitia e i viaggi del Papa, un filo rosso che unisce la sua vita ed il suo pontificato.
Nel corso del suo mandato, Papa Francesco si è fatto notare per le visite in paesi particolarmente remoti e assai meno sicuri di quelli a cui i suoi predecessori recenti ci avevano abituato.
Negli anni ha visitato fra gli altri la Repubblica Centrafricana, il Myanmar, il Kenya, Cuba, la Bolivia, l’Egitto e l’Uganda: tutti posti dove la sua sicurezza non poteva essere garantita al cento per cento. I paesi in questione condividono però un passato di violenza, guerre civili, repressione di minoranze. Non visite fatte da primate della fede principale dei luoghi, ma come portatore di pace e di un messaggio di fratellanza, soprattutto di “non diversità”.
In Iraq prima dell’invasione degli Stati Uniti nel 2003 vivevano fra 1,3 e 1,5 milioni di cristiani: dopo le fasi più cruente della guerra e le successive persecuzioni compiute dallo Stato Islamico, si stima che ne siano rimasti meno di 250mila, molti dei quali si ritengono a rischio e stanno valutando se emigrare come fatto negli anni scorsi da decine di migliaia di altri cristiani.
Papa Francesco ha detto però che si considera «il pastore della gente che soffre», in un paese spazzato via dalla furia iconoclasta e religiosa di un ISIS che di religioso, sia chiaro, non ha nulla, se non l’uso strumentale della religione. E quindi appare come fulcro del viaggio l’incontro interreligioso che il Papa terrà ad Ur, vicino al fiume Eufrate, dove secondo la Bibbia nacque Abramo.
Ecco quindi che il vero significato del viaggio è l’unione, la ricerca di Abramo, che da Ur, narra la Bibbia, venne chiamato da Dio per andare fino a Canaan ed alla Terra promessa. Abramo come padre di Ismaele e quindi del popolo arabo dell’Islam, Abramo come padre di Isacco e quindi degli Ebrei e poi dei cristiani.
Nei viaggi che abbiamo fatto io e Manuela con Don Sandro Barbieri in Israele, insieme a diversi gruppi, uno dei momenti più toccanti e profondi è sempre stato la visita alle tombe dei patriarchi ad Hebron. Esse sorgono in territorio palestinese occupato dagli israeliani, ed estremamente militarizzato. I pullman pubblici che viaggiano hanno vetri antiproiettile. Hebron è una città divisa, che porta nella sua carne le ferite dei massacri delle parti opposte (israeliane nel 192, islamiche nel 1994). E’ una città che vive di militari, grate di protezione, posti di blocco e tensione continua. Eppure, quando si arriva ad Hebron, nella strada in cui sorgono le tombe, e ci si avvicina alla costruzione sotto la quale ci sono le tombe di Abramo, Isacco e Giacobbe, si respira un’aria diversa. Si sale il passaggio che porta all’ingresso, e si arriva dove ci sono, affiancate, la moschea di Abramo e la sinagoga del secondo luogo sacro ebraico, si respira un’aria di vicinanza, se non proprio di fratellanza. I cristiani possono entrare liberamente nella moschea, e la sensazione di essere dove tutto è iniziato è sempre presente.
Ecco che allora la visita prevista da parte di Papa Francesco ad UR assume un significato di vicinanza, di fratellanza con chi soffre, con chi è “diverso”, perseguitato. L’ultima tappa di Francesco, il pellegrino in terra lontana, sarà a Mosul e a Ninive, una città che ben conosciamo per le vicende del profeta Giona e per le riflessioni che ne abbiamo avuto recentemente da Don Stefano, e che purtroppo negli ultimi anni è diventata famosa per le violentissime persecuzioni dello Stato Islamico nei confronti del popolo degli Yazidi e della minoranza cristiana locale. A Ninive sono rimaste, della comunità cristiana siriaca di un tempo, solo una settantina di famiglie: assieme a loro, perseguitati tra i perseguitati, il Papa pregherà nella Piazza delle Chiese, dove si affacciano anche moschee e chiese ortodosse (che l’Isis usava come prigioni) e cattoliche siriache (che erano i tribunali per i crimini religiosi contro l’Islam).
Il viaggio si concluderà con la messa nella cattedrale di Qaraqosh, una città di 50,000 abitanti cristiani che si svuotò in massa all’arrivo dell’Isis, e la cui cattedrale divenne un poligono di tiro e di fucilazioni di massa.
Ancora una volta questo papa ci insegna, in silenzio ed umilmente, che la vicinanza e la ricerca della fratellanza, l’eliminazione del concetto di diverso, per questioni di fede, di genere, di stato civile, di qualsiasi cosa, sono il vero faro illuminante di questo papato e del messaggio che lascia al mondo.