L’etimologia di “fragilità”, dal latino ‘frangere', significa rompere, spezzarsi, andare in frantumi. Il concetto è chiaro a proposito degli oggetti: una cosa fragile, pensiamo a un vaso di vetro, può rompersi molto facilmente, diventa difficile poi ricostruirlo. Questo atteggiamento si può applicare in modo speculare anche alle persone.
Oggi respiriamo un’aria di fragilità: la precarietà delle situazioni, delle relazioni, della vita di questo mondo che non trova un equilibrio di senso, e purtroppo, spesso anche della nostra vita. È possibile trovare qualche soluzione per superare la fragilità? Una cosa ho capito e desidero condividerla: la fragilità può trasformarsi in una opportunità di crescita. A pensarci bene, la fragilità ci obbliga a guardarci dentro, a rivedere il nostro stile di vita, dele nostre passioni, ma soprattutto a chiarirci di chi siamo e di che cosa vogliamo dalla vita.
Il punto di partenza è la consapevolezza dei nostri limiti, delle nostre debolezze che possono aprire la strada alla virtù dell’umiltà. Fragile, infatti, è l’opposto di forte, salvo scoprire, in certi momenti, che non sempre è il fragile a soccombere, anzi, la fragilità può suscitare forza, lucidità nell’affrontare le situazioni avverse, oppure può dare spazio all’ispirazione di forza creativa e risolutiva, senza alcuna rassegnazione o accidia. Fragili sono l’uomo e la donna nella loro stessa natura umana. Da subito, anche nel racconto biblico della creazione, emerge la fragilità dei progenitori. Negarla significa sprecare un aspetto essenziale della nostra vita. Scriveva Pascal: «L’uomo non è che una canna, la più fragile di tutte in natura, ma è una canna pensante». Non è detto che i pensieri siano sempre ispirati all’idea di crescere, maturare, sopportare… per non apparire fragili. Tutto può essere fragile: da un’idea di cui eravamo fortemente convinti, da un sentimento che si sbiadisce con l’usura del tempo, da una speranza che sostiene l’utopia, il sogno, l’impossibile tradotto in possibile…, oppure da una certezza che crolla sotto i colpi di un soffio, specie se ha le basi deboli.
Consideriamo allora come dalla debolezza può nascere una nuova forza. *Il primo passo* è la rivalutazione dei nostri aspetti vulnerabili, senza più nasconderli a noi stessi o tentando goffamente di rimuoverli, ma semmai mostrandoli con calore e con empatia. Quella timidezza che diventa rossore, stare zitti per la preoccupazione di dire cose inopportune, può trasformarsi in una virtù rara e preziosa: la discrezione. Ne può conseguire un rafforzamento del carattere, della personalità. La nostra fragilità, una volta mostrata con apertura verso gli altri, ci mostra più teneri, più spontanei e perfino più divertenti. Inoltre, in questo modo, riconoscendo il diritto di sbagliare, riusciamo a sottrarci al continuo giudizio degli altri.
*Il secondo passo* è verso l’esterno: rivelare agli altri, a partire dalle persone che più amiamo, le nostre insicurezze, le nostre paure e le emozioni che legano insieme un fascio di fragilità. Non c’è bisogno di esibizionismi e di forzature, la nostra fragilità va mostrata con delicatezza e con gradualità…, e così aiuterà il nostro prossimo a immedesimarsi nelle nostre debolezze, a condividerle, in una misteriosa catena di relazioni e di affetti. *E infine* abbiamo anche riscontro positivo della fragilità in Gesù: anche lui ha vissuto momenti di fragilità: il pianto sulla tomba di Lazzaro, l’angoscia nell’imminenza della sua cattura nell’orto degli ulivi; l’abbandono nell’affrontare la croce. Nell’ultima Cena, inoltre, Gesù decide volontariamente di andare fino infondo (Gv13,1: li amò fino alla fine) sopportando l’incomprensione, l’incredulità, il rifiuto, l’abbandono, la solitudine, il tradimento: tutto questo però, in vista della nostra salvezza: “ _Ti basta la mia grazia, la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza” (2 Cor12,9)._
Noi non siamo più forti di altri nell’affrontare le traversie che la vita non ci risparmia. Non deve spaventarci il sentirci deboli. Occorre che ci lasciamo ancora dire dal Signore: Ti basta la mia grazia.
don Riccardo