- di Tiziana Bacchi (ottobre2017)
Il 28 ottobre ricorre l' anniversario della morte di don Maurizio Maraglio, legato alla comunità di Ognissanti da importante amicizia. Era sacerdote fidei donum, missionario in Brasile, a Sao Mateus dove era stato accolto da don Claudio Bergamaschi, prete mantovano, grande amico di Mons. Rosa, il parroco della nostra chiesa. Don Maurizio in Brasile è morto, ucciso e coperto d’infamia appena reso cadavere. E’ stato riconosciuto martire.
Tutti gli anni lo ricordiamo. A chi? Perché?
E’ apparentemente semplice rispondere a queste domande. I più anzianotti della comunità, le persone che l’hanno conosciuto e che gli sono state amiche lo ricordano a se stesse e ne sono contente, perché rievocano l’amicizia con lui, le belle esperienze vissute insieme, i suoi insegnamenti. Farne memoria, per loro, è naturale e non è la ricorrenza particolare della morte a suggerirne l’opportunità perché Maurizio è stato loro amico e ha lasciato in ciascuno un segno di bene, che facilmente e sempre si può riscoprire ancora vivo e importante. Per questi suoi amici ha grande significato la sua testimonianza di fede, che gli è costata la vita.
Spesso, come credenti, parliamo dell’importanza della testimonianza di fede, considerandola quasi un’ovvietà. Meno frequentemente facciamo i conti con la consistenza “reale” della testimonianza di fede, che invece non è mai tanto ovvia e scontata quando richiede scelte di vita decise e precise. Così senza grande rilievo riflettiamo sulla quotidianità e la “banalità del bene” che spesso accompagnano la testimonianza di chi si dice cristiano. La fede non è banale, ma la sua testimonianza passa anche attraverso situazioni normali e semplici. Maurizio era una persona intelligente e simpatica, con tanti pregi ma anche difetti, come si è soliti dire di tutti. Non si riconosceva in lui un “eroe”, ma con la sua amicizia e le sue scelte ha aiutato molti a credere. La sua morte, poi, ha fatto capire qualcosa in più … che la sua fede, testimoniata in tante “banali” circostanze, era profondissima, un fatto molto serio, per niente riconducibile a qualche semplice occasione. Era una fede che aveva la consistenza della vita.
Maurizio, ad ogni anniversario, lo ricordiamo anche a chi non l’ha conosciuto o ne ha sentito solo vagamente parlare o non sa assolutamente chi sia. In genere lo facciamo leggendo qualche sua lettera o cantando qualche canzone scritta da lui. Sono testimonianze che risalgono a tanti anni fa, che ci parlano di gente lontana nel tempo e nello spazio, che appartengono ad un mondo di ieri su cui, spesso, fatichiamo ad interrogarci. Noi viviamo ancorati ad una realtà presente che stenta ad aprirsi alla comprensione di ciò che è stato e di ciò che sarà. Ciò che è stato è vecchio e inutile, lo possiamo buttare. Ciò che sarà, lo bruciamo folgorati dalla tecnologia scatenata.
A che cosa serve rileggere quelle vecchie parole di Maurizio? Ci raccontano esperienze di vita lontane, ma non del tutto, perché provocate e segnate da “abiti” mentali, atteggiamenti, scelte che sopravvivono e appartengono anche a noi che viviamo in un altro tempo e in un’altra parte del mondo. Maurizio scriveva di soprusi, ingiustizie, corruzione, violenze facendoci conoscere un animo umano egoista, ambizioso, arrivista, crudele, traditore, capace di infierire sui più deboli.
Succede così anche oggi, lo sappiamo bene. Tuttavia Maurizio non si fermava qui. Faceva un passo in più che anche noi oggi avremmo bisogno di fare. Faceva riflettere sulla fede cristiana quando si confronta con una realtà tanto malvagia. Faceva conoscere l’atteggiamento dei deboli e dei poveri che vivevano quelle situazioni dolorose e del cristiano che coerentemente alla propria fede, si disponeva ad affrontare quelle realtà tanto difficili e problematiche. Ne risultavano una profonda comprensione delle dinamiche sociali e politiche in gioco e la scelta di non tacere, di non nascondere quelle ingiustizie e il pianto di chi le subiva. La vita misera dei contadini costretti a lavori disumani per un pugno di fagioli, negli scritti di Maurizio, appare dignitosa e composta, capace di fede e di tanti gesti di generosità e condivisione, anche se provata da stenti e sofferenze. Il cristiano, il prete che li incontra, sta con loro, lavora con loro, li aiuta a continuare a credere e a sperare, cerca di condividere con loro il dolore che grava come un macigno su quel mondo. Il cristiano si appropria di quel dolore, lo fa anche suo, lo racconta, lo denuncia, lo rende preghiera perché possano sopravvivere sempre la speranza e la fede nel bene: è il cristiano che dà consistenza di vita alla propria fede. Maurizio ha fatto così. Ricordarlo alla nostra comunità di oggi significa far conoscere una fede che è stata “vita” in una malvagia realtà di morte, per ricordarci di credere che lo può essere ancora.
Tiziana Bacchi- nel 31° anniversario della morte di don Maurizio