Nel xx anniversario della morte lo ricordiamo nella Messa delle 18,30 di martedì 11 febbraio 2014 in Ognissanti
SCRITTI DI MONS ROSA :
SONO QUASI 39 ANNI
Miei cari parrocchiani,
convinto dalla mite violenza di don Cesare che ha voluto una celebrazione corale del mio 25.mo di parroco, perché facessimo insieme lode al Signore e insieme facessimo memoria del nostro stare insieme, eccomi qui di forte a voi amico e fratello con voi e per voi. Sono trentotto anni, dieci mesi e ventinove giorni che sono con voi, se aggiungo ai venticinque anni di parroco, i tredici di vicario e l’anno interinale.
Sono tanti gli anni e mi sembrano un giorno. E arrivato a questa mattina, devo aggiungere cantando che, se talvolta mi vedete stanco perché la strada può essere diventata più difficile e il passo più lento, dovete anche pensare che il cuore si è fatto più capace di amare perché fede e storia sollecitano gesti imprevedibili di eterna giovinezza.
Sono quasi trentanove anni.
E la comunità si inginocchia per rendere grazie al Signore di aver conservato la Sua presenza nella luce sfolgorante della sua parola nella realtà sconvolgente del suo Corpo Donato e del suo Sangue Versato, e nel dono incessante del suo Spirito, in questi trentanove anni di storia patria e di storia ecclesiale in cui emergono, da una parte, la guerra, la caduta di un regime e la nuova Costituzione e, dall’altra, il Concilio Vaticano. Tempi dell’uomo e tempi di Dio dove la Chiesa in ascolto del suo Signore e dell’uomo ha riscoperto nella logica della croce, il suo posto nel cuore del mondo: l’essere serva per essere luce delle genti.
Sono quasi trentanove anni.
E la comunità è contenta se il parroco, a suo nome, scandisce memore e riconoscente alcuni nomi entrati nel cuore di tutti. Eccoli: mons. Domenico Menna, mons. Antonio Poma, mons. Carlo Ferrari, tre vescovi a cui devo il mio essere prete, il mio essere vicario, il mio essere parroco così qui tra voi.
Tre paternità con tonalità diverse, entrate e coinvolte nel misterioso cammino della chiesa, tre paternità che non si possono dimenticare. Mia madre, custode discreta e vigile del mio cuore giovanile; don Giosuè Ferrari, zio materno, grande maestro in spirito; mons. Giovanni Zancoghi, prete di grande cuore e di multiforme cultura; i nostri vicari cooperatori: don Cesare Lucchini, don Luigi Bellini, don Marino Barbieri, don Walter Mariani, e don Cesare Righetti l’amico intelligente di questi anni.
Sono quasi trentanove anni.
E la comunità fa festa perché conserva la sua parrocchia aperta sulla strada dove tutti possono entrare e uscire senza pagare pedaggi di cultura e di censo perché rispetto e accoglienza è legge di vita; perché con le sue mani ha contribuito al ripristino di S. Orsola, ha restaurato la chiesa parrocchiale, ha sistemato e messo a nuovo l’oratorio e l’abitazione dei suoi preti; perché nel cuore dei suoi gruppi stanno prendendo posto i poveri, i vecchi, i bambini; perché ha la carità coraggiosa di camminare con i suoi preti, aiutandoli, anche nel consiglio e nella correzione fraterna.
Miei cari parrocchiani, se quello che ho scritto è verità e grazia, venite e facciamo festa nel Signore.
Venite tutti perché nel mio cuore c’è posto per tutti.
Venite tutti per riprendere insieme il nostro cammino nel cuore palpitante del tempo.
Una comunità cristiana è e rimane una comunità di frontiera dove il Signore ci sospinge e ci attende.
Vi stringo al mio cuore; il vostro
Don Rosa
[Voce di Ognissanti, 29/5/1977]
AI PIEDI DEL CROCIFISSO
Cari parrocchiani,
ci siamo tutti in questo Venerdì Santo ai piedi del Crocifisso, perché tutti ne siamo colpevoli. E vogliamo stare lì, anche se ci costa, perché quello è il nostro posto e lì, riscoprire il nostro peccato con la sincerità del cuore, interrogandoci interiormente a uno, a uno, davanti a Dio e al fratello.
Con quale occhio, all’alba di ogni giorno guardo quelli della mia famiglia? Li accolgo così come sono , così come si presentano, con particolare attenzione ai piccoli e agli anziani, accettando con grande coraggio che ciascuno abbia un posto singolare nella casa? E, nel caso particolare dei figli, con quali intenzioni attendiamo alla loro crescita e ala loro futuro? Forse su di loro facciamo progetti, dimenticando che dobbiamo solo accompagnarli nella loro maturazione con la nostra preghiera e con il nostro rispettoso ascolto perché si abituino a rispondere in libertà al loro Signore nelle grandi scelte della vita perché Lui sia lodato e la loro gioia sia piena.
Se questo è il nostro atteggiamento in famiglia chi è per noi quello fuori casa e che il Vangelo chiama “prossimo”? Forse ce ne guardiamo perché non turbi la nostra quiete: o forse accettiamo di fare un favore con la speranza che ci venga restituito in un’altra occasione, convinti, come siamo, che una mano lava l’altra. E così la nostra porta si richiude dietro le nostre spalle mentre il Vangelo ci ripete le parole di Gesù: Avevo fame, avevo sete, ero ignudo … ero in carcere … e tu non mi hai dato da mangiare, non mi hai dato da bere, non mi hai vestito, non sei venuto a trovarmi; in quel povero c’ero io e tu hai rifiutato di vedermi.
Fino qui il modo di stare di fronte all’uomo. Ma qual è la nostra risposta di fronte alle cose: il denaro, la macchina, la proprietà privata, il nostro vestito, il nostro pane? Forse pensiamo che non dobbiamo rendere conto a nessuno della loro gestione: né a Dio e né agli uomini, neppure a quello che in questo o in quell’altro momento si trova a disagio in quella casa, perché non riesce a tirare avanti … Un potere assoluto e nessuna ipoteca sulle nostre cose. E l’uno e l’altro atteggiamento sono forme di vero egoismo.
Carissimi amici, se volessi ora ricondurre e riassumere in una sola domanda gli interrogativi di questa conversazione mi permetto di descriverla così.
Il Signore del creato, il Signore della Croce e della Risurrezione, il Signore del nostro passato, del nostro presente e del nostro futuro, il Signore di ogni giorno, il Signore della nostra vita, il Signore della nostra casa, il Dio dell’Amore è il cuore del nostro cuore o è rimasto o rischia di diventare un’immagine decorativa che vale pure la pena di conservare?
Bastano queste poche riflessioni per accettare responsabilmente di sentirci peccatori. Se accettiamo la grazia di arrivare a questa sofferta gioiosa certezza di sentirci povera gente, bisognosa di misericordia, il nostro Venerdì santo è l’inizio della nostra conversione perché il Crocefisso risorto, nel sacramento della nostra riconciliazione, prende posto nella nostra vita. Con la potenza della Sua misericordia ci cambia il cuore, ci dà occhi nuovi, una mentalità nuova, perché il Suo amore è più grande del nostro peccato. Così avvenga di noi sacerdoti e di ciascuno di voi, disposti però ad accettare ogni giorno con profonda umiltà il rischio della tentazione perché non siamo ancora arrivati sul rettilineo del nostro traguardo.
Maria, la Madre del Risorto, ci accompagni.
Cordialissimi auguri a ciascuno di voi. E uno singolarissimo agli anziani, ai malati e ai bambini.
I vostri sacerdoti don Rosa e don Cesare
[Voce di Ognissanti, 15/4/1979]