Dal libro di
MATTEO MARIA ZUPPI con Lorenzo Fazzini, ODIERAI IL PROSSIMO TUO – Perché abbiamo dimenticato la fraternità – Riflessioni sulle paure del tempo presente. PIEMME
… se osserviamo bene mi sembra che possiamo comprendere quello che manca, tantissimo nella Chiesa di oggi: un impegno personale e determinato per la comunione. La Chiesa o è comunione, e quindi esprime la paternità che la garantisce, oppure rischia di diventare una forza sociale, politica o una semplice organizzazione di filantropia. Questa comunione viene spesso trascurata e molti non la ricercano con la dovuta convinzione. Quando accade a me di non esserne strumento consapevole e convincente, chiedo perdono con umiltà, perché sento di essere venuto meno al mio dovere più importante.
Il rinnovamento della comunione è il regalo che il Concilio Vaticano II ci ha fatto e che meno abbiamo usato in questi anni. La visione della Chiesa come comunità è la risposta alle difficoltà di oggi. È preziosa anche per il mondo. La Chiesa che costruisce comunione si apre al futuro: non agisce per costruire una democrazia – la comunione è molto di più di questo -, per fondare una cooperativa – la comunione è avere tutto in comune, non solo il bilancio economico: è un cuore solo e un’anima sola. La Chiesa come comunità non è un salotto di persone che discutono, perché anche la discussione per la Chiesa deve avere al centro, sempre, Gesù, la compassione per gli altri, l’amore, i più fragili tra gli amici di Gesù. Il futuro e la sfida della Chiesa è la comunione piena, perché questa è sacra e richiede l’impegno di ognuno e un cambiamento non astratto, ma molto concreto, per amare e servire i fratelli.
La Chiesa è chiamata a essere una comunità di fratelli e di sorelle sotto la guida dello stesso Padre. La comunione è qualcosa di «divinamente efficace», scriveva papa Benedetto XVI. Gli ostacoli che incontra derivano dal fatto che a volte si respira troppo la stessa aria frammentata e un po’ malata dell’individualismo che ci sta intorno. Di fronte a queste situazioni di frattura e di polemiche, i cristiani devono essere persone che «vedono», come scriveva Antoine de Saint-Exupéry, ricorrendo a un’immagine quanto mai efficace: «Le pietre del cantiere sono un mucchio disordinato solo in apparenza, se c’è, perduto nel cantiere, un uomo, sia pure uno solo, che pensa a una cattedrale».
Anche uno solo! Ecco chi dobbiamo essere, donne e uomini della speranza che lavorano perché già vedono la Chiesa come la cattedrale che deve essere costruita e che sono gioiosi nella fatica di erigerla. Costruiamo una casa di amore per tanti, non una delle tante ricette per il nostro benessere individuale, perché è così che troveremo la risposta che cerchiamo: non nell’amore per noi stessi, ma nell’amarci imparando ad amare e a servire il Signore e il prossimo. Per questo ci sacrifichiamo con gioia, perché sappiamo, “vediamo” che questa cattedrale sarà bellissima e così possiamo coinvolgere tanti nella costruzione. Essere profeti di sventura che, magari con poca intelligenza e tanto strabico zelo, non sanno vedere che rovine e guai è una cattiva responsabilità. Dobbiamo evitare tutti, davvero tutti, il rischio di diventare come quei farisei che non vivono e non fanno vivere, che caricano sugli altri pesi insopportabili che non prendono su di sé, che non entrano e non fanno entrare. Non ci deve scandalizzare tanto il nostro peccato, ma piuttosto la nostra naturale resistenza al cambiamento, motivata da una sorda convinzione di fare già molto o di essere a posto.
Scegliamo di essere “generativi” non per la nostra forza, ma perché illuminati dalla luce che dona “gli occhi che vedono”! Una Chiesa senza una vera e umana fraternità assomiglia a un condominio di persone che condividono alcuni ideali, ma non è una famiglia che Dio vuole per l’umanità intera. Una Chiesa che non comunica il Vangelo a tutti s’impadronisce dell’amore ricevuto e lo nega a chi non lo conosce ancora. Gesù invece ci dona il suo amore perché lo doniamo. Solo così siamo felici: l’amore rimane se lo doniamo. Solo così siamo felici: l’amore rimane se lo doniamo. E tanti lo aspettano.
Ricordo al riguardo una sintesi molto efficace di Sant’Agostino: «Portate i pesi gli uni degli altri e così adempirete la legge di Cristo». Il Signore stesso ci ha comandato di amarci a vicenda, attribuendo a questo una così grande importanza da affermare: «Da questo sapranno che siete miei discepoli, se vi amate gli uni gli altri». Questo amore impone di portare vicendevolmente i nostri pesi. Questo dovere non è eterno, ma condurrà certamente alla beatitudine eterna, quando non ci saranno più quei pesi che ci è comandato di portare scambievolmente. Ma attualmente, in questa vita, mentre cioè siamo in vita, se portiamo a vicenda i nostri pesi, possiamo arrivare a quella vita priva di ogni peso. […]
Niente dimostra tanto bene l’amicizia quanto il portare il peso dell’amico. Così cresce la comunione, frutto dello Spirito che si inserisce nella trama, tutta umana, fisica, che unisce le nostre persone.
L’assolutizzazione della propria esperienza, la mancanza di paternità e di fraternità limitano la comunione, la feriscono o la riducono a qualcosa di strumentale e non il luogo dove il Signore dimora perché due o tre sono nel suo nome, riuniti dal suo Spirito che ci rende una cosa sola con Lui, ma anche tra noi.
Nell’Evangelii gaudium, al punto 98, papa Francesco deve constatare: «All’interno del popolo di Dio e nelle diverse comunità, quante guerre! Il mondo è lacerato dalle guerre e dalla violenza, o ferito da un diffuso individualismo che divide gli esseri umani e li pone l’uno contro l’altro a inseguire il proprio benessere. In vari paesi risorgono conflitti e vecchie divisioni che si credevano in parte superate. Ai cristiani di tutte le comunità del mondo desidero chiedere specialmente una testimonianza di comunione fraterna che diventi attraente e luminosa. Che tutti possano ammirare come vi prendete cura gli uni degli altri, come vi incoraggiate mutuamente e come vi accompagnate: “Da tutto questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35). È quello che ha chiesto con intensa preghiera Gesù al Padre: “Siamo una sola cosa […] […] perché il mondo creda”(Gv 17,21). Attenzione alla tentazione dell’invidia! Siamo sulla stessa barca e andiamo verso lo stesso porto! Chiediamo la grazia di rallegrarci dei frutti degli altri, che sono di tutti. Chiediamo al Signore che ci faccia comprendere la legge dell’amore. Che buona cosa è avere questa legge! Quanto bene ci fa amarci gli uni gli altri al di là di tutto! Sì, al di là di tutto! A ciascuno di noi è diretta l’esortazione paolina: ”Non lasciatevi vincere dal male, ma vinci il male con il bene”(Gal 6,9). Tutti abbiamo simpatie e antipatie, e forse proprio in questo momento siamo arrabbiati con questo, con quella. Ti prego per lui e per lei”. Pregare per la persona con cui siamo irritati è un bel passo verso l’amore, ed è un atto di evangelizzazione. Facciamolo oggi! Non lasciamoci rubare l’ideale dell’amore fraterno!».
Sì, senza l’amore fraterno, o riducendolo a un simulacro, la Chiesa si perde. La comunione è affidata a ognuno e, in qualche modo, ciascuno ne è responsabile. È il vero antidoto all’odio, perché in essa abbiamo tutto e tutto ci appartiene. In essa, l’io ha il massimo della valorizzazione e della responsabilità, ma senza l’amaro dell’egoismo e senza la solitudine dell’individualismo, perché ognuno si pensa e trova compimento nel noi. Nella comunione l’io e il noi coincidono. Ecco perché la comunione è il nostro futuro.