La famiglia eritrea
La famiglia di E. (il bambino), di S., T., T., (sorella e fratelli tra loro, li chiamiamo abitualmente ‘i ragazzi’) e di T. (la mamma e nonna) abita nella nostra parrocchia da due anni. A metà novembre del 2021 sono arrivati prima i ragazzi con E. e poi, nel gennaio successivo, li ha raggiunti T. . Questo viaggio è stato fortemente voluto da A. (sorella di T., vive da anni in San Barnaba). A. da tempo desiderava accompagnare fuori dall’inferno dell’Eritrea i suoi familiari, in cerca di una via di fuga dalla realtà invivibile di questo loro paese.
Grazie a don Renato Pavesi., alla Caritas di Mantova e all’aiuto determinante della Comunità di Sant’Egidio - i cui operatori sono andati ad incontrare i ragazzi in Etiopia, dove erano riusciti a rifugiarsi dopo rocambolesche vicende - attraverso un corridoio umanitario organizzato dalla Comunità stessa e un corridoio umanitario formatosi a Mantova nel contesto delle parrocchie di città, la famiglia è arrivata in Italia.
L’avventura di questa famiglia a Mantova è iniziata con una quarantena, perché eravamo in pieno periodo covid, e con l’avvio dell’iter burocratico per la regolarizzazione delle sua presenza in Italia. In seguito a ciò tutti hanno ottenuto lo status di rifugiati, un approdo che dà loro garanzie di protezione e di vita in sicurezza nel nostro Paese, almeno sul piano giuridico.
Durante il primo anno i ragazzi si sono dedicati allo studio della lingua italiana, ottenendo un primo livello di certificazione linguistica. Per raggiungere questo obiettivo hanno frequentato la scuola, che ha consentito loro di fare una prima esperienza di inserimento in un contesto italiano per stranieri di varia provenienza. Per alcuni mesi hanno svolto anche un servizio civile che li ha aiutati a prendere un po’ di consapevolezza della realtà lavorativa nella nostra società italiana.
La ricerca del lavoro è diventata necessità impellente nel secondo anno e ha fortemente ridimensionato desideri e sogni, come quello di proseguire gli studi che consentirebbero ai ragazzi di perfezionare la propria formazione professionale e quindi di accedere a lavori meno precari e più remunerativi, come è nelle loro aspirazioni. A tale proposito bisogna anche considerare che è stato avviato un iter per il riconoscimento dei loro titoli di studio, ma ancora non si conoscono gli esiti della procedura seguita e quindi restano aperte tante incognite.
Comunque, S., T. e T. quest’anno hanno iniziato a lavorare. Si tratta di lavori per lo più precari, che non garantiscono una piena autonomia economica della famiglia.
T. ha studiato per conseguire la patente di guida e ci è riuscito, con grande soddisfazione di tutti. È arrivata in dono anche una automobile che consente una più ampia possibilità di spostamento rispetto alla bicicletta e al monopattino, che sono i loro principali mezzi di locomozione. Consideriamo anche che l’accesso a molti lavori comporta che il lavoratore sia automunito.
Negli ultimi due mesi si è profilata la possibilità di raggiungere uno zio in America … per un po’ i ragazzi hanno sognato il mito americano, ma ora il sogno si sta smontando per le consistenti nuove difficoltà da affrontare … anche se ancora non è stata detta l’ultima parola.
E. ha iniziato a frequentare una scuola per l’infanzia e l’anno prossimo inizierà la scuola primaria. Anche lui ha fatto e fa la sua parte, quindi, nel favorire l’inserimento della sua famiglia a Mantova. T., che parla molto bene l’italiano, è la grande mamma e nonna e con le sue preghiere aiuta tutti a sperare e a credere che ce la si può fare. Su tutti veglia A.
La famiglia eritrea è a questo punto. È stata brava, molto brava. Tutti sono veramente in gamba. Hanno ancora tanto cammino da fare in un mondo molto diverso da quello in cui sono nati e cresciuti. Tanti passaggi, che qui abbiamo sintetizzato al massimo, sono stati segnati da grande sofferenza a cui hanno saputo rispondere con coraggio, fermezza e serenità. Non è mancato un lutto in famiglia: alla gioia di ritrovare il papà si è associato, presto, il dolore di lasciarlo per sempre. È stata un’esperienza sofferta che hanno vissuto e che stanno vivendo con grande dignità e fede.
Hanno fede, coraggio e forza, oltre che intelligenza, concretezza e praticità, mantenendo sempre il tipico stile africano che distingue poco tra l’adesso e il dopo, tra l’oggi e il domani. Vieni alle quattro? Sì. Sono le sei, sei arrivato tardi, non facciamo più in tempo a fare questa cosa … come si fa adesso? Ah, va beh adesso … no dopo, sì dopo, oggi.
Si fa alla svelta a dire ‘ sei in ritardo ’. Quanta trascuratezza nel dirlo e anche solo nel pensarlo. Eppure, sono stati bravi anche ad accettare le nostre pretese, senza accondiscendere alle nostre convinzioni se a loro qualche nostra proposta, nostra ‘vera e propria pretesa’, non piaceva. Hanno saputo dirci ‘no , faccio così’ e … poco alla volta, passo dopo passo, sono andati avanti.
Da parte nostra, poco alla volta, abbiamo scoperto che non siamo noi a guidarli, come avevamo presunto, ma siamo noi a seguirli, affiancandoli e sostenendoli per quello che sappiamo fare o anche facendoci da parte e lasciandoli fare, pur temendo che compiano qualche scivolone.
C’è ancora tanta strada da costruire e da percorrere in una realtà sociale ed economica in cui per loro il lavoro è precario e incerto.
Però abbiamo la speranza che riescano a ottenere quello che desiderano per sé e per il loro bambino.
Abbiamo la speranza che raggiungano la piena autonomia culturale, oltre che economica e che possano sentirsi veramente liberi di scegliere e decidere … sarebbe il raggiungimento del loro pieno inserimento nella nostra società.
Per l’integrazione c’è da fare un altro discorso. L’integrazione sarà possibile se loro e noi, insieme, ciascuno facendo la propria parte, costruiamo qualcosa che sia sintesi di loro e noi, delle loro e nostre culture e delle loro e nostre aspirazioni. … È evidente che c’è molto cammino da fare e che dobbiamo farlo insieme, condividendo, confrontandoci, dialogando, partecipando … . Siamo in gioco anche noi, non solo loro, il loro cammino diventa anche il nostro, la loro strada è anche la nostra se vogliamo seguirli fino in fondo.
Per loro e per noi che li accompagniamo più da vicino, è importante l’aiuto della nostra comunità, la sua preghiera, il suo sostegno anche economico, soprattutto ora che il corridoio mantovano sta chiudendo i battenti. Ma abbiamo bisogno anche che il gruppo al seguito dei ragazzi e della loro famiglia aumenti, abbiamo bisogno che la comunità si faccia vicina a questa famiglia. Abbiamo il grande desiderio che questa famiglia qui, nella nostra chiesa, si senta a casa propria, si senta accolta, accettata, considerata. In questo senso è stata molto importante e incoraggiante la partecipazione del vescovo Marco ad una cena presso questa famiglia; la cena è stata preparata secondo le tradizioni eritree ed è stata l’occasione per ricordare e raccontare le tante e dolorose avventure affrontate e per riconoscere l’accompagnamento del Signore di tappa in tappa, di cammino in cammino fino agli attuali approdi. È stato un incontro di preghiera e di commozione, è stato la dimostrazione del loro cuore grande, capace di fede e di speranza.
Grazie a loro di essere qui con noi e grazie alla comunità per quello che potrà fare per loro.
Grazie! Franco Rita Tiziana