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Da "Settimana News" : Vittorina Gementi e la Casa del Sole di Andrea Cappelletti

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vittorina Gementi feb 2005w

27 ottobre 2025/ 

di: Andrea Cappelletti (a cura)

Paolo Lomellini è l’autore del volume Attraversare il dolore. La testimonianza di Vittorina Gementi (ed. La Cittadella) con prefazione di Marco Busca vescovo di Mantova. Per Vittorina Gementi è aperta la causa di beatificazione.

– Caro Paolo, puoi tratteggiare la figura di Vittorina Gementi?

Vittorina nasce a Porto Mantovano nel 1931. Dopo il diploma, negli anni ’50 svolge il lavoro di maestra in alcuni piccoli borghi rurali di provincia ed è molto attiva in ambito ecclesiale, in particolare nell’Azione Cattolica. Dal 1960 al 1980 è consigliera comunale a Mantova assumendo anche il ruolo di vicesindaca e assessora per i servizi all’infanzia. Darà un grande impulso e sviluppo alle scuole materne e ad altri servizi per i bambini.

Parallelamente cresce in lei una sensibilità molto forte per i bambini con disabilità, un problema che all’epoca era spesso rinchiuso tra i confini domestici oppure, nei casi più gravi, negli istituti per internati. Lei crede possibile una strada alternativa e innovativa che consenta ai bambini cerebrolesi percorsi personalizzati con un approccio multidisciplinare che tenesse insieme gli aspetti educativi, psicologici, medici e terapeutici.

Nel 1966 parte l’esperienza della Casa del Sole – un consorzio pubblico/privato guidato da Vittorina – per i bambini con disabilità cognitive lievi e medie che, dal 1977, verrà estesa anche ai casi più gravi. L’esperienza darà luogo a non poche tensioni politico-amministrative, ma, nel corso degli anni, anche chi aveva osteggiato l’opera di Vittorina dovrà ricredersi, a fronte del dato incontestabile di migliaia di bambini e di famiglie che, presso la Casa del Sole, hanno trovato cura, ragioni di speranza, percorsi di crescita e di sostegno.

Vittorina muore nel 1989, dopo aver trascorso gli ultimi tre anni affetta da una grave forma tumorale. Anche nella malattia ha sempre rivolto le sue attenzioni alla Casa del Sole – bambini, famiglie e personale –, tenendo nascoste le sue condizioni di salute per non creare disagi e allarmismi.

Poco prima di morire ebbe a dire ad una amica che la Casa del Sole poteva andare avanti anche senza di lei per molti anni. Così è stato infatti sino ad oggi, con la prospettiva di guardare al futuro per molti anni a venire.

È stato quasi “automatico” che, nel tempo, sia nata e cresciuta la fama di santità di Vittorina.

– Puoi aggiornarci della causa di beatificazione?

Nello scorso mese di aprile, è arrivata l’approvazione da parte della Santa Sede per l’apertura della causa a livello diocesano. Il contenuto specifico dei lavori – com’è noto – è coperto dal vincolo di segretezza.

Per quanto è possibile sapere, ci sono migliaia di documenti a supporto delle virtù cristiane di Vittorina. In considerazione di questa ingente mole di materiale da organizzare e da valutare, si spera, fra un anno circa, di terminare questa prima fase.

– Vittorina, anche nei miei ricordi, resta una donna dolce e accogliente, eppure, in certi frangenti, sapeva essere molto dura, aspra, come hai documentato e come lei stessa si riconosceva. Come spieghi questa, almeno apparente, contraddizione, in una figura candidata alla beatificazione?

Era una donna di grande discernimento. Sapeva distinguere quando occorreva decidere e rispondere in tempi rapidi, oppure quando occorreva attendere tempi lunghi. Citando la Montessori, sapeva quando occorreva usare il linguaggio – anche aspro e determinato – dello scienziato e quando, invece, donare l’amore e l’estasi del mistico. Per le sue idee e progetti, quando interloquiva con altri, era capace di ostinazioni ferme e dure ma anche di grande dolcezza e senso di gratitudine. Tenere insieme questi apparenti estremi a me è sembrata la cifra e il “marchio” di una vera santità.

***

– Perché per il tuo libro hai scelto, con l’editore, il titolo Attraversare il dolore?

Perché il dolore è “il caso serio della vita” e – come dice Bernanos – chi vuole cercare la verità sull’uomo deve affrontare il dolore, ovvero attraversare questa dimensione oscura della vita che la nostra ragione non riesce a comprendere e a spiegare sino in fondo.

Vittorina l’ha fatto camminando insieme alle famiglie che vedevano l’infanzia ferita dei loro bambini: ferita nell’aspetto più delicato dell’umanità, cioè quello delle facoltà cerebrali-cognitive. E l’ha fatto rifuggendo dai tanti stereotipi “doloristici” e “pietistici” che hanno segnato a lungo anche la spiritualità cristiana.

– Nel tuo libro appare centrale l’attenzione che Vittorina riservava alle famiglie dei bambini cerebrolesi, con le quali cercava di instaurare una fattiva collaborazione per il loro maggior bene. Qual era, nello specifico, il suo metodo?

Varie erano le sue direttrici di fondo. Prima di tutto, la ricerca continua della massima competenza e formazione scientifica possibile. A complemento di questa, un grande senso di realismo nel comunicare/condividere con i genitori la reale gravità dell’handicap dei bambini, consapevole che minimizzare poteva creare illusioni che, nel tempo avrebbero portato all’aumento di frustrazione e di sofferenza.

Un’altra sua grande coordinata sapienziale era il saper attendere i tempi necessari perché i genitori potessero metabolizzare la sofferenza causata dalla condizione dei loro figli: proporre subito frasi fatte o facili ricette consolatorie per lei era una strada fuorviante, perché aprirsi alla speranza e all’amore richiede tempo, pazienza e perseveranza.

Gli aspetti citati avevano l’obiettivo generale di stabilire relazioni umane autentiche e solide, cioè, riuscire a camminare “mano nella mano” lungo questi percorsi duri, di sofferenza. Far capire, in altre parole, che, oltre ad offrire cure alla Casa del Sole, ci si prendeva cura di tutta la persona.

In sintesi, Vittorina ha saputo attualizzare questi antichi insegnamenti sapienziali anche nelle situazioni più difficili. Riusciva a discernere elementi di luce anche dove la maggioranza di noi vede solo oscurità: col tempo, accompagnava i bambini e le loro famiglie a scorgere queste piccole, ma reali, luci.

– Vi sono stati, nella sua attività, momenti di attrito e persino di scontro con l’Amministrazione comunale e con i settori istituzionali deputati alla assistenza. Per quali ragioni e quali posizioni ha sostenuto Vittorina?

Gli attriti sono stati causati dal timore degli Enti pubblici di perdere il controllo della Casa del Sole, perché la gestione di Vittorina appariva troppo autoreferenziale. Circolava anche l’idea che tutti, o quasi, i bambini con handicap potessero ricevere idonei servizi all’interno della scuola pubblica “ordinaria”.

Questa è una contrapposizione che Vittorina non ha mai cavalcato, convinta che, se al centro dell’attenzione ci sono i bisogni e i possibili percorsi per i bambini più fragili, la distinzione tra servizi gestiti dall’istituzione pubblica oppure da enti privati non è conflittuale, anzi può diventare sinergica. Il tempo ha dimostrato che questa sua prospettiva, anche se difficile, è possibile e fruttuosa.

– Si può arrivare a dire in che misura e in che modo la fede ha guidato Vittorina nella vita personale e professionale?

La fede ha sicuramente suscitato e acceso la sua sensibilità, cresciuta nel tempo, per le fragilità più gravi che colpiscono l’infanzia. Si può altrettanto dire, in modo complementare, che il suo vivere a fianco di queste situazioni così dolorose ha reso la sua fede sempre più forte, matura e autentica.

La solidità della fede in Dio si accompagnava a quella nella dignità della persona umana, anche quando affetta da disabilità gravissime, dignità espressa dall’essere comunque pienamente in grado di sentirsi amati e di corrispondere all’amore.

Guardando alla spiritualità di Vittorina, colpisce come lei prendesse sul serio il Vangelo, rendendolo vivo e attuale, assumendolo come guida ed energia per la sua vita, in particolare davanti alle più gravi disdette. Sentiva rivolto a lei il grido fatto a Gesù dall’ammalato della piscina di Betzatà: Non ho nessuno che mi immerga (Gv 5,7). Considerava inaccettabile pensare la malattia e l’handicap quale punizione di qualche peccato, a duemila anni dalle parole inequivocabili di Gesù ai discepoli che lo interrogavano sul cieco dalla nascita (Gv 9,1-3). Ha vissuto in coerenza con il metro della misura finale di Gesù (Mt 25,31-46) basato sul farsi prossimi e attenti ai bisogni dei piccoli più sofferenti.

– Quali ritieni siano la sua eredità e il suo lascito alla Chiesa, ai cittadini mantovani e oltre?

Alla Chiesa lascia la testimonianza della figura femminile impegnata a rendere eloquente il Vangelo come laica nelle realtà temporali. Come ha scritto don Alessandro Manenti, lei parlava di Cristo anche senza nominarlo esplicitamente.

Alla comunità mantovana in generale lascia la sensibilità della solidarietà e della giustizia sociale: il grande fiorire negli ultimi decenni di tante esperienze di volontariato è sicuramente anche frutto del suo esempio. In una società sempre più segnata dall’individualismo in tante forme, la sua testimonianza è oggi quanto mai attuale.

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