IL MONSIGNORE CHE PROTEGGEVA OGNISSANTI
Dalla Gazzetta di Mantova del 13 luglio 2014 di RENZO DALL’ARA
BOMBARDAMENTI A MANTOVA
Monsignor Giosuè Rosa: la sua parrocchia di Ognissanti ha voluto ricordarlo, con un volumetto di testimonianze e di riflessioni, a vent’anni dalla morte, avvenuta l'11 febbraio 1994. Ma in altra data, l’8 agosto 1944, si poteva ben dire che la morte avesse sfiorato l’allora curato don Giosuè, risparmiandolo per ragioni interpretabili soltanto nella sfera dei miracoli.
Quel martedì si presentava nella normalità del quarto anno di guerra: infatti le sirene d’allarme suonavano e subito dopo, alle 10.30, una formazione di caccia bombardieri piombava sul ponte ferroviario di Mulina, più Cittadella e il ponte coperto dei Mulini. Passavano quattro ore e, alle 14.30, altra incursione di otto cacciabombardieri in picchiata: obiettivo la stazione ferroviaria e i binari, ma la prendevano piuttosto larga, tanto che colpivano case di via Porto, di via Finzi, l’orfanotrofio femminile di via Scarsellini e un’ala del convento di San Francesco, risparmiando palazzo d’Arco. Non era finita: grappolo di bombe sulla chiesa di Sant’Orsola sfondava la cupola e l’abside.
Ora don Rosa abitava, con la mamma, in un appartamentino al piano superiore dell'ex-convento, occupato per il resto dal salone delle riunioni e dall'oratorio. «Quando suonava l’allarme - raccontava don Giosuè al cronista vostro, parrocchiano e con un passato di chierichetto - andavo nel campanile e non solo io, anche altre persone del vicinato.
Quel martedì si siamo trovati in 13, in maggioranza donne, compresa Anna la nonnina, come la chiamavamo, che dava una mano in casa quando non era nella sua bottega di alimentari in via Orefici. C’è stato uno scoppio violentissimo, una vampata di calore, poi il fragore delle macerie e una fittissima polvere, non si respirava. La porta era bloccata ma siamo riusciti a raggiungere la scala del campanile e quindi, dal salone, lo slargo davanti al chiostro, adesso via Bonomi».
Il cronista vostro non aveva fatto in tempo a scendere nel suo rifugio in vicolo Tezze e, con l’incoscienza del quattordicenne, correva in Pradella, dove gli si presentava una scena surreale: nel polverone si riusciva a vedere la rovina di Sant’Orsola e poi il pastore don Rosa seguito dal suo gregge. Facce stravolte dal terrore, lamenti, grida, pianti e lui stravolto, con la tonaca nera diventata tutta bianca, come il saio di un domenicano. Illesi tutti, ma shock troppo pesante: «Bastava sentissi una sirena - è sempre il racconto di don Giosuè - per farmi scappare atterrito in rifugio, non dormivo alla notte. Il parroco monsignor Giovambattista Zancoghi mi mandava per una quindicina di giorni in campagna ad Acquanegra dallo zio, don Giosuè Ferrari».
Altro prete di Ognissanti che avrebbe lasciato il segno, monsignor Zancoghi, che arricchiva la missione pastorale facendo scuola ai giovanotti che volevano diventare meccanici di motori o caldaisti. Il corridoio d’accesso alla canonica sembrava un’officina. Si conquistava anche il tempo per collezionare francobolli, ma a un livello tale da avere rapporti con la Casa Reale: Vittorio Emanuele III era filatelico appassionato e lo teneva in considerazione.