Comunità San Barnaba/Ognissanti Percorso sul ministero della coppia 2
don Riccardo Gobbi
giovedì 19 dicembre 2019
ELKANA E ANNA (1Sam 1): CON CREATORI CON DIO
- Come ogni grande opera dell'uomo, anche il bambino nasce dalla sua intelligenza: è un ‘concepito' amato che prende gradualmente forma nel pensiero, nel desiderio, nella volontà e, finalmente ‘nella pienezza dei tempi', quando si verificano le condizioni personali e sociali più adatte alla procreazione, ‘diventa carne'. Ma accanto a questo, il pensiero della vita è accompagnato da paure contrastanti: si teme di non avere figli oppure si ha paura di generarne ancora.
A questo proposito, la Bibbia ci presenta la particolare storia di due sposi, Èlkana e Anna, segnati dalla sofferenza della sterilità. La vicenda risalta per l'acume con cui l'autore sacro entra nei risvolti coniugali della sterilità. Le conoscenze del tempo attribuivano la causa alla donna, in questo caso ad Anna, la quale si sentiva ferita nella sua identità femminile. La sua squisita sensibilità le fa percepire la sofferenza di un grembo sterile come una ferita al suo essere donna e diviene la sofferenza di tutta la persona: "Anna si mise a piangere e non voleva prendere cibo" (1Sam 1,7). Inoltre, questa ferità già grave per lei, viene accentuata davanti alla fecondità degli altri. Anna conosce addirittura la perfidia di un'altra donna che ostenta i propri figli per mortificare lei che ne è senza: "La sua rivale per giunta l'affliggeva con durezza a causa della sua umiliazione" (1Sam 1,6). Ma ecco, nel testo biblico, uno straordinario tocco di tenerezza coniugale . Il marito Èlkana le dimostra un amore che le parole rivolte alla moglie rivelano dolce e grande: “Anna, perché piangi? Perché non mangi? Perché è triste il tuo cuore? Non sono forse io per te meglio di dieci figli?” (1Sam 1,8). Senza dubbio, in assenza di un figlio, l'amore del proprio coniuge è una risorsa notevole. Ma per quanto possa essere intenso questo amore la ferita per il figlio che manca lascia intuire come la fecondità della coppia non sia un optional , ma il suo compimento più vero: il terzo è il desiderio iscritto nell'unione dei due.
* La sterilità delle “nonne” di Israele
Le donne di cui si parla in questi capitoli dell’Antico Testamento hanno un ruolo importante, ma il leit motiv che si ripete continuamente in queste storie è la sterilità: le grandi madri di Israele erano sterili. In questa epoca arcaica, e in questa condizione sociale, la fertilità è condizione indispensabile per la vita. È importante trovare terreni fertili, è importante che il gregge sia fertile, è importante infine che l’umanità - cioè la donna – sia fertile: la terra deve produrre frutti - almeno l’erba -, il bestiame deve produrre altro bestiame e l’umanità deve moltiplicarsi, i figli - i tanti figli - sono una benedizione, sono la possibilità di vita, sono la forza e la sicurezza del gruppo. Quindi, come il terreno deve essere fertile ed il gregge deve produrre, così l’obiettivo è la donna fertile, la donna che possa avere tanti figli, la “madre di tutti i viventi”. Ora il narratore insiste, in modo quasi esagerato, ripetendo ad ogni generazione che la madre era sterile. Era successo quando Dio scelse Abramo, che obbedì e andò dove Dio lo condusse; gli promise una terra ed una grande discendenza, ma la moglie era sterile. Passarono gli anni, Abramo invecchiò senza che la moglie gli avesse figli; il narratore continua a ripetere la promessa “una discendenza numerosa come le stelle del cielo”. Questi racconti della sterilità servono proprio per evidenziare il limite dell’uomo, superato dall’intervento di Dio: sono racconti della grazia, sono racconti di salvezza! L’uomo da solo non può generare la vita e la salvezza e Dio interviene con la benedizione, cioè donando la fecondità.
- Di fronte a questa sterilità inspiegabile e insuperabile, la mentalità del tempo attribuiva la causa a Dio: "Il Signore aveva reso sterile il grembo di Anna" (1Sam 1,5). Anche Anna, dunque, riporta il dramma della sua sterilità a Dio; ma non lo fa con il dito puntato in segno di accusa, ma con lo sguardo fiducioso di chi percepisce che, al di là di ogni capacità e sforzo umano, la sorgente della vita viene da più lontano e affonda le radici nel mistero divino. Per questo si abbandona alla preghiera: "Signore degli eserciti, se vorrai considerare la miseria della tua schiava e ricordarti di me, se non dimenticherai la tua schiava e darai alla tua schiava un figlio maschio, io lo offrirò al Signore per tutti i giorni della sua vita" (1Sam 1,11). A una prima lettura Anna sembra solo una vittima, ma il narratore delinea la condizione triste anche di Peninnà, utile solo perché feconda, ma priva di un reale valore agli occhi del marito; la gelosia e la mortificazione di cui fa oggetto Anna sono le modalità con cui reagisce, proiettando sulla rivale la situazione che lei stessa patisce. Anna invece sceglie una strada differente e non risponde alle offese, pur provando una grande afflizione interiore che la conduce a non mangiare più (v. 6). Reagire agli insulti, o rinfacciare alla rivale di non essere amata avrebbe innescato una catena di male; così, non mette in atto nessun gesto di violenza in risposta all’umiliazione e al disprezzo, non si mette in competizione, distinguendosi in questo da Sara e Rachele. La donna invece sceglie di fermare l’offesa su di sé, di “patirla”, pur di non reduplicarla facendo crescere il dolore senza trovare una autentica soluzione. La stessa modalità Anna la assume nei confronti di Elkanà, che prova a consolare la moglie amata con parole che rivelano quanto egli sia cieco davanti a una situazione che lui stesso ha contribuito a creare, e come non riesca a comprendere la sofferenza di una moglie che pure ama, trasformando il suo dolore in qualcosa che riguarda lui stesso (v. 8). Anna sembra chiudersi nel suo dispiacere, in una forma di debolezza, ma la rinuncia a reagire si trasforma nella sua forza. Sceglie, infatti, di parlare e di rivolgere il suo lamento, la sua amarezza e il suo dolore a Dio, il solo che non la fraintende. Di fronte al venir meno della vita, l’unica cosa che sente rimanerle è rifugiarsi nel grido della preghiera (vv. 9-10). Anna va al cuore della sua povertà, la accoglie senza subirla, senza attribuire ad altri la responsabilità della sua situazione, e rivela di nutrire speranze e desideri che, essendo impossibili, domandano l’intervento del Signore. Non si accontenta, non cerca soluzioni intermedie per risolvere il suo problema (come aveva fatto Sara con Agar). Apre il suo sguardo e il suo cuore, lasciando che il suo desiderio di fecondità, di futuro, di senso si esprima e lascia che questo desiderio sia saziato da un Dio che ricolma al di là di ogni attesa.
- Anna ed Elkana: portare il proprio figlio al tempio e lasciarlo lì, non per una settimana, ma per tutta la vita! Anna ed Elkana riescono ad affrontare il momento del distacco con la forza della fede. Anna offre una preghiera piena di fede al Signore. L’unanimità dell’adesione al progetto di Dio si vede bene nel loro prostrarsi, assieme, davanti al Signore. I distacchi (di qualsiasi genere) vanno accettati e possono essere affrontati con la forza della preghiera, specie quella fatta in comune dai genitori.
* Fecondità: il sasso nello stagno
Tutti conosciamo che cosa succede quando gettiamo un sasso in uno stagno. E’ utile scoprire come l'energia che scaturisce dal sacramento del matrimonio (il sasso nello stagno) produca e sprigioni un fenomeno simile:
- Un primo cerchio d'irradiamento è all'interno della coppia stessa.
- Un secondo cerchio comprende i figli accolti con fiducia e amore (anche adottivi).
- Un terzo è l'apertura ad altri familiari.
- Un quarto cerchio di irradiamento sono vicini, i parenti, gli amici.
- Un quinto cerchio si realizza in campo caritativo.
- Un sesto cerchio è la partecipazione e animazione della vita della Chiesa.