Un servizio nell'amore
11 ottobre 2018 - memoria di Papa Giovanni XXIII (Sotto il Monte, 25 novembre 1881– Città del Vaticano, 3 giugno 1963) che l’11 ottobre 1862 ha aperto i lavori del Concilio Vaticano 2°. L’11 ottobre era, prima del concilio, la Festa della Maternità di Maria, spostata poi al 1° di gennaio dopo il Concilio.
Dal sito del Monastero di Bose di Fratel Adalberto 11/10/2018 di Fratel Adalberto
«Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti amo».
La confessione d’amore di Pietro al Signore risorto, ripetuta tre volte, è la risposta al perdono che Gesù stesso gli offre. Nella notte della passione, Pietro per tre volte aveva negato di conoscere il Signore. Ora l’amore risana quella ferita, ricoprendola di un silenzio colmo di delicatezza.
Questo versetto accompagna tutta la vita di preghiera di Angelo Roncalli, papa Giovanni XXIII, di cui oggi facciamo memoria.
“Iddio lo sa che anche in mezzo alle mie miserie io gli voglio bene”, scriveva giovane seminarista nel 1898. Sessant’anni dopo papa Giovanni coglie il legame profondo di quelle parole di Pietro con il comando del Signore: “Pasci le mie pecore”. Le sente rivolte a sé: “L’amore sta dunque nel mezzo. Gesù lo chiede a Pietro: e Pietro lo rassicura”, annota nel Giornale dell’anima (15 agosto 1961).
“Il successore di Pietro sa che nella sua persona e nella sua attività è la grazia e la legge dell’amore che tutto sostiene, vivifica e adorna”.
Gesù per tre volte chiede a Pietro se gli vuole bene. “Con dolce insistenza”, commenta papa Giovanni. È la domanda che interpella Pietro riaprendo la sua vocazione.
Come all’inizio del vangelo era stato chiamato con un nome nuovo, non più “Simone, il figlio di Giovanni”, ma “Cefa, che si traduce ‘Pietro’” (Gv 1,42), ora di nuovo Gesù lo chiama: “Simone, figlio di Giovanni”. Ricomincia la sua vita, ricomincia dal perdono, ricomincia dall’amore. Il compito affidato a Pietro può essere svolto soltanto in questa conoscenza del proprio peccato e, simultaneamente, dell’infinita misericordia del Signore.
“Pasci le mie pecore”. Gesù gli rinnova la fiducia, gli affida il ministero di confermare i fratelli nella fede, invitandolo ancora una volta alla sua sequela: “E detto questo, aggiunse: ‘Seguimi’” (Gv 21,19).
È quello che papa Giovanni sente rivolto a sé.
“A pensare bene a questo mistero di intimo amore fra Gesù e il suo vicario, quale onore e quale dolcezza, per me, ma insieme quale motivo di confusione per la piccolezza, per il niente che io sono!”.
È l’amore che spinge alla sequela, fino al dono di sé. “Quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi”.
“Con i miei 80 anni ormai compiuti”, scrive papa Giovanni, “mi trovo sulla porta. Dunque devo tenermi pronto a questo ultimo tratto della mia vita … O Gesù: eccomi pronto, a stendere le mie mani, ormai tremanti e deboli: a lasciare che altri mi aiuti a vestirmi, e mi sorregga per la vita”.
Papa Giovanni, nella sua vita e nel suo ministero di vescovo di Roma, ha saputo mostrare come il servizio di Pietro possa essere sempre un servizio nell’amore, per la comunione di tutti i cristiani. In questo modo Ignazio di Antiochia definiva la chiesa di Roma: la “chiesa che presiede nell’amore”.
Questa verità evangelica risuonerà nelle parole di papa Giovanni all’apertura del concilio: “La Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore … per mezzo dei suoi figli manifesta ovunque la grandezza della carità cristiana … per favorire la concordia, la giusta pace e l’unione fraterna di tutti” (Gaudet Mater Ecclesia 7,2-3).